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domenica 20 novembre 2011

week end

"E sta per finire un altro weekend/ se ne va coi gol in tele il weekend/ e poi aspetteremo un altro weekend/ convinti che sarà il migliore: dei weekend"

Sono profondamente convinto che Max Pezzali sia uno dei migliori cantautori italiani in circolazione. E sono altrettanto d'accordo con Tommaso Labranca quando in "Estasi del Pecoreccio" ( o era "andy Warhol era un coatto", non ricordo, ma tanto non importa perchè le due opere sono un unicum imprescindibile a cui forse si può aggiungere "Chaltron Hescon") spiega in soldoni che la letteratura italiana non racconta oramai più nulla superata dalla musica popolare, che più fresca e sopratutto più viva, è capace di raccontare le emozioni reali delle persone e delle giovani generazioni. Pertanto è più facile "ritrovarsi" in una canzone di Baglioni che in un romanzo pubblicato dagli anni '50 in poi.

Ecco Pezzali è un chiaro esempio di questo sorpasso. Lasciamo perdere il primo disco degli 883, che pure trasudava di esperienze vissute in prima persona e comunque trasferibili a qualsiasi membro medio della sua generazione e proviamo a prendere quello che è venuto dopo. Di tutta la sua produzione, quella che preferisco è proprio Weekend. Perchè è la canzone che esprime al meglio il senso di inutilità, noia, sbattimento avvilente del fine settimana di un giovane qualunque di una provincia italiana qualunque. Ma tra le righe si legge qualcos'altro. Il giovane in questione è costretto ad attendere il weekend come unico momento di affermazione della propria libertà. Durante la settimana il lavoro (forse lo studio, ma dal testo non sembra) costringe il giovane ad un'esistenzia fittizia tutta incentrata sull'attesa di un qualcosa che non arriva mai o che quando arriva delude le aspettative. 

Credo che molte persone detestino la domenica sera. Già la domenica pomeriggio è avvilente ma la sera è peggio. In tv non fanno quasi niente e non si ha voglia di uscire (non si può domani ci sia alza presto) e sopratutto si pensa all'indomani e alle incombenze della settimana. Diciamocelo: è tempo perso; non ha alcun significato l'attesa noiosa per il domani. 
A questo punto intravedo due soluzioni allo spleen della domenica sera: 

1. Vivere il presente e basta: cioè non pensare molto o molto poco al futuro della settimana, all'indomani. A meno che non ci siano esigenze contingenti o particolari preoccupazioni. Bisognerebbe vivere la domenica sera come ogni altro momento o comunque cercare di pensare alla domenica sera come ad un momento congelato in cui non bisogna aspettare nulla; 

2. Vivere meglio la settimana. Il senso di sconforto sopravviene perchè si pensa troppo all'indomani ma anche perchè l'indomani non ci piace. Questo è un problema. Si dovrebbe cercare di operare mentalmente sulla singola giornata e arrivare a considerare ogni giorno della settimana come un qualcosa di piacevole e nuovo. O almeno cercare di pensare che anche durante la settimana qualcosa per se stessi si può fare e se non è così bisognerebbe non aspettare il fine di settimana per farlo. Se si acquisisce un po' di tempo per se stessi ogni giorno, non è necessario aspettare il fine settimana (con il rischio di rimanere delusi) per dedicarsi a se stessi.
Riflettiamo su questo: quante domeniche sere sono tempo privo di significato? 

martedì 15 novembre 2011

in un tripduio di miccette...

"In un tripudio di miccette il governo è caduto e i suoi brandelli in cielo compongono la scritta: Zio cantante..."

Il profetico Elio ci fornisce il senso della situazione. E' caduto il governo: e adesso? 

Adesso boh. C'è una crisi pazzesca, c'è un debito fuori controllo, c'è una classe politica che non vale niente nè dal punto di vista morale nè da quello intellettuale. 
E intanto la ggente, come se nulla fosse, tira a campare. Si potrebbe dire che è giusto così, che così è sempre stato fatto. Che ha ragione la ggente a vivere alla giornata cercando di arrivare a fine mese perchè "loro, i potenti, sono più grandi di noi". 

Ma io non sono d'accordo. Non credo che si debba vivere così. Ci si dovrebbe interessare alla vita pubblica e politica e tenere sotto stretta osservazione i rappresentanti del popolo e vigilare attentamente sul loro operato. 

 Negli ultimi tempi mi sono persuaso del fatto che la vera colpa della misera situazione in cui ci troviamo sia da attribuire proprio alla ggente, al volgo, alla plebe. E' il suo qualunquismo, il suo menefreghismo, la sua negligenza a determinare una classe politica assolutamente inadeguata. Ma chi li ha votati i parlamentari? In Italia, grazie al cielo, c'è la democrazia, quindi è stato il popolo sovrano a  eleggere tali personaggi. 

Ci si lamenta spesso dei politici, delle loro disonestà e di tutti i loro difetti (attacamento alla poltrona, corruzione, inettitudine e chi più ne ha ne metta) con l'atteggiamento presuntuoso di chi non c'entra nulla con quelli là della casta. Invece c'entrate (e c'entriamo, perchè no?) eccome cari signori. Siamo stati noi a generare il baratro in cui qualcuno dice che ci troviamo. Chi li ha eletti questi? Dovremmo porci più spesso questa domanda e affrontare il problema con una lucida razionalità sopratutto quando in sede di voto si deve operare la scelta di chi andrà al potere e avrà la responsabilità delle sorti dello Stato. 

C'è un'altra idea che mi frulla in testa di questi tempi. 
E' l'idea della crisi. Si parla di crisi di qua, crisi di là. Mi sembra quasi che la crisi sia nella nostra mente prima che là fuori. La crisi delle coscienze, la vogliamo chiamare così? 
La crisi è un momento psicologico importante. E' l'ultimo gradino di una discesa e quindi il segnale evidente che le cose non funzionano nel modo in cui le stiamo facendo. 
Forse in Italia dovremmo ragionare un po' di più su noi stessi, su certi comportamenti che sono ormai parte di noi ma che non vanno più bene. Sulle nostre opinioni e le nostre certezze e magari provare a cambiare. 
La crisi è il momento in cui siamo avvisati che dobbiamo cambiare. E allora facciamolo. Iniziamo a interrogarci serenamente su quello che non va. Iniziamo ad affrontare i problemi che abbiamo senza nasconderci dietro un dito o dietro le solite scuse. 
E poi agiamo. 

Il risultato? non è certo. E allora? Chi se ne frega, proviamoci.


venerdì 4 novembre 2011

Due libri non recenti ma divertenti

Ecco due libretti letti di recente, ma non scritti di recente.

Il primo è un saggio di Pascal Bruckner intitolato: "il matrimonio d'amore ha fallito".

Si tratta di un piccolo pamphlet alquanto provocatorio che confuta l'ideale del matrimonio d'amore ma la cui tesi potrebbe essere estesa a qualsiasi tipo di relazione. Secondo il sociologo Bruckner il matrimonio d'amore è un desiderio realizzato dai nostri tempi e a lungo negato alle generazioni precedenti le quali hanno dovuto sopportare la necessità di un matrimonio imposto da altri. Poi con il Novecento ecco la conquista definitiva del matrimonio voluto e ricercato dagli sposi - amanti; una grande evoluzione sociale che ha permesso di affermare la libertà degli amanti di scegliere davvero con chi sposarsi. Ma con quale esito? secondo Bruckner, che provoca un po', forse il matrimonio d'amore e non per interesse è stato a sua volta annullato dal grande numero di divorsi e separazioni (più o meno burrascose) che ha caratterizzato la vita recente delal nostra società (si parla dell'occidente, ovviamente). Allora perchè non ritornare al matrimonio per interesse o comunque a quello che non ha aspirazioni idealistiche (non si idealizza il partner come avviene durante la fase "acuta" dell'innamoramento)? Sicuramente la non-aspettativa verso un qualcosa salva quella cosa dalla probabile delusione che si prova quando poi ci si imbatte nella dura realtà dei fatti.

Quindi la proposta è quella di limitare il sentimento e ricorrere alla razionalità cioè di sposarsi senza lasciarsi andare a trasporti emotivi che alla fine si tramuteranno nella maggior parte dei casi in delusioni e rancori tra gli innamorati. La razionalità invece imporrebbe un calcolo anche di interesse sulla bontà di una relazione e di conseguenza sulla sua possibile durata.

Condivido questa tesi? No. Sono d'accordo sul fatto che l'idealizzazione genera disastri ma forse troppo romanticamente tendo a considerare il matrimonio ancora l'utlimo baluardo a difesa dell'amore. Comunque la lettura di questo libricino è divertente e scorrevole.

Il secondo è un romanzo giallo (genere con il quale non ho molta familiarità) è una prescenegiattura di PIero Chiara. L'idea dello scritto era quella di preparare una storia per la trasposizione televisiva ed infatti nl 1970 venne realizzato uno sceneggiato diretto da Paolo Nuzzi che ha diretto anche "Il piatto piange" da un altro romanzo di Chiara.
Non leggendo molti gialli non so se si può considerare un giallo canonico o no., se cioè rispetta i canoni dil genere (ma in fondo chi se ne frega?). La trama è appasionante e la lettura scorrevolissima. Ci sono colpi di scena e si vuole andare avanti per vedere come va a finire. In soldoni mi è piaciuto.
Consiglio caldamente anche "il piatto piange" perchè lo stile di Chiara è leggibilissimo e insieme arguto e penetrante.
Pietro Chiara è il narratore della provincia che ha velleità urbane e che quindi si lascia andare ai vizi e della città perchè crede che così si possa liberare dall'arretratezza contadina che la caratterizza. Quindi i suoi personaggi, sono sempre in bilico tra una morale tradizionale, che ha radici nell'umiltà della povertà dalla quale provengono, e una imoralità modernista. Ma Chiara non è un misoneista e nei suoi romanzi non critica lo sviluppo, non è quello che gli interessa. Più delle storie sono i personaggi il vero centro dei suoi racconti, le loro reazioni agli eventi nefasti e le loro debolezze di fronte alla dura realtà. Credo che questa idea di fondo pervada e spieghi anche altre opere di questo autore che andrebbe letto sicuramente di più.
In conclusione: consigliato assolutamente.

P.s.
Spinto da un'irrefrenabile istinto semi suicida ho abbandonato la lettura de "I guerrieri della notte" di Sol Yuirick (non senza rammarico infatti avrei potuto vantarmi di: conoscere quasi a memoria il film; avere il cd della colonna sonora; avere lo stickers per giaccone "the warriors"; avere il videogioco per playstation; ed infine avere letto il romanzo. Così a carnevale avrei potuto anche acquistare il giubbotto dei guerrieri e travestirmi da Swan con una certa consapevolezza culturale) per iniziare la lettura di (udite udite!): Madame Bovary di Flaubert. Lo faccio per poter dire stronzosamente: "io almeno l'ho letto e tu?"