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martedì 5 novembre 2013

Gravity

Non vado più al cinema così spesso.
Gli Impegni familiari, gli impegni lavorativi, il desiderio di contenere i costi proibitivi della vita adulta mi impongono di vedere i film quasi esclusivamente in dvd. 
Non che sia contrario al dvd, intendiamoci. Adoro spaparanzarmi sul divano, premere play sul telecomando e abbandonarmi ad abbuffate di patatine e gelato.
Ma ogni tanto ci scappa l'ora d'aria (anzi le due ore e mezza se si è fortunati) e mi posso godere questo piacere oramai quasi dimenticato. Così se posso mi abbuffo di pop corn con due unici inconvenienti: il costo scandaloso che le multisala ti sparano sui pop corn e il fatto che al termine della proiezione mi debba scrollare i vestiti come si fa con una tovaglia dopo un pranzo di festa. Ce ne sarebbe un terzo: l'olezzo soffocante di pop corn rancido che ti assale una volta aperta la porta della sala, ma dopo poco ti ci abitui come in ogni ambiente chiuso che si rispetti e non ci fai più caso. 

Così questa volta ho visto Gravity di Alfonso Cuaron. 
Credo che sia necessario aggiungere che l'ho visto in 2D, dato che oramai molti film vengono proposti nelle due versioni, 2 e 3D. 

Comunque pur avendo sentito che questo film dava il meglio nella versione tridimensionale (il che è vero per alcune scene) ma si può tranquillamente vedere in visione bidimensionale e non ci si perde nulla. 



Non sapevo che Cuaron fosse il regista di Harry Potter e il prigioniero di Azkaban che è quello della serie che mi è piaciuto di più e de "I figli degli uomini", grande film anche quest'altro. Grande idea soprattutto che cerca di rispondere alla terribile domanda: che cosa succederebbe se non nascessero più bambini?

Gravity mi è piaciuto perché è teso e altrettanto melanconico come una buon film di fantascienza dovrebbe essere. Ma non credo che sia solamente questo. Anzi devo dire che in fondo questo film possa essere letto in un'altra chiave di lettura che non quella dell'astronauta che combatte con l'immensità soverchiante dello spazio. 
Sempre fedele alla regola aurea di non rivelare nulla (Anti - Spoiler ora e per sempre!) metto in guardia chi non l'avesse ancora visto dal non procedere oltre. 

ATTENZIONE SPOILER! (anticipazione)

Ho l'impressione che Gravity sia in realtà una metafora dell'elaborazione del lutto. La protagonista è sospesa nello spazio e sicuramente quello non è il suo ambiente. E' un ingegnere biomedico che per la prima volta è stata mandata nello spazio e sa come muoversi solo perché ha passato un periodo di addestramento ma si capisce che non vorrebbe essere lì veramente e forse non sa nemmeno perché ha accettato di andarci. Lavora, fa il suo dovere, è un membro efficiente della squadra guidata dal comandante che invece nello spazio è a suo agio e vuole evidentemente rimanerci il più a lungo possibile perché dovrà andare in pensione e dovrà abbandonare definitivamente quella vita.
L'elemento sospensione nel vuoto è significativo di una situazione di limbo nel quale vive suo malgrado chi ha subito un lutto. Qualche sequenza dopo capiamo una cosa importante: la protagonista ha veramente perso qualcuno, la propria figlia di quattro anni. 
Poi ecco che succede l'irreparabile. La situazione degenera e qualcosa di veramente incontrollabile, quale una bella pioggia di detriti di un'altra stazione spaziale sopraggiunge inesorabilmente a sconquassare tutto. 
Questa situazione è metaforicamente quella della crisi. La protagonista sta per essere sopraffatta ma sopravvive grazie all'aiuto del comandante che la tiene legata a sé e perciò alla vita. 
A un certo punto succede ciò che deve succedere: si è soli di fronte al dolore. 
A questo punto si hanno più reazioni: 
- la regressione è una di queste: è simbolica la scena in cui la protagonista si toglie la tuta e fluttua nel vuoto rannicchiandosi come una bambina nel grembo materno; 
- la rinuncia: è la reazione più pericolosa per la propria esistenza, ovviamente. Ma anche la più naturale. Il dolore è troppo forte per essere superato e ci si lascia andare allo sconforto e alla disperazione che può essere fatale.
- la ripresa: la protagonista si fa forza, capisce che deve andare avanti e reagisce facendosi forza. 

Nell'ultima parte del film la protagonista riesce a reagire alla difficoltà e ritorna a casa. 
E' emblematica anche la sequenza finale in cui cadendo in mare, la protagonista deve affrontare l'ultimo passo e come una vera e propria rinascita metaforizzata dalla navicella - utero e dall'acqua, riesce a vedere la luce del sole. Alla fine tocca terra. Ha trovato una nuova stabilità. 

The End