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venerdì 7 dicembre 2018

Cattivi vicini - il seguito

Aspettavo da in po' di poter vedere questo seguito di Cattivi Vicini. Non che il primo fosse memorabile e purtroppo non lo è nemmeno questo, ma insomma, volevo vedere dove sarebbero andati a parare.

Diciamo che dopo attenta riflessione ho capito cosa non funziona di questo sequel e forse pure del precedente.

L'idea di partenza secondo me è buona. Si tratta di un conflitto tra una coppia di persone normali, quarantenni, ex giovani, del ceto medio, e una confraternita  universitaria americana capeggiata da un leader indiscusso e carismatico. Questa è l'essenza della tram di entrambi i film, salvo che nel secondo la confraternita è prettamente femminile ed è mossa dal desiderio di affermarsi in quanto tale, cioè di sole donne, per sfondare il miro dei pregiudizi sessisti che segnerebbe la loro permanenza al college.

E se fosse tutto qui, la cosa sarebbe anche piacevole. Se ci si limitasse a costruire un film su questo conflitto e sulle botta e risposta a suon di scherzi, e dispetti più o meno feroci, ne uscirebbe un filmetto divertente. Ma in entrambi i capitoli e soprattutto nel secondo, si inseriscono troppe sottotrame o sottotrame a cui si dà troppo spazio, che distolgono l'attenzione e rendono la trama priva di quel crescendo di tensione che meriterebbe. Si tratta di scelte, per carità,  che a mio modo di vedere penalizzano il risultato.

Poi certe trovate sono anche simpatiche, soprattutto se basate sulla distanza generazionale tra i protagonisti. Nel primo film una chicca è quando Efron e Rogen discutono, mezzi storditi, su qual è il miglior Batman: non è forse Keaton per noi quarantenni? Senza nulla togliere ad Adam West, si intende, direi io.

Mu vengono in mente due precedenti sul tema, seppur un po' distanti, ma entrambi da recuperare: Tin men con De Vito e Dreyfuss, e Due figli di... con Martin e Niven. In entrambi la guerra tra i protagonisti è tremenda ed ovviamente comica.
Ma temo che siamo su altri livelli di bravura e di vis comica.

Fine

lunedì 3 dicembre 2018

Sicario

È un film crudo, essenziale con i tempi misurati. La messa in scena è precisa, e freddamente calcolata.

Si parla di lotta alla droga in Sicario (Villeneuve, 2015), ma sarebbe meglio dire guerra alla droga, una guerra che secondo i protagonisti, Brolin agente segreto sornione, Del Toro killer spietato la cui umanità a brandelli è viva solo grazie alla stranita e perfetta Blunt, si può combattere solo con armi non convenzionali.

"Niente avvocati a bordo", ci tiene a dire il consulente per la sicurezza (leggasi agente della CIA) Matt Graver in sede di arruolamento della task force interforze che dovrà operare in via non ufficiale oltre confine per "recuperare" un signorotto della droga ritenuto responsabile di gran parte del traffico di droga attraverso il  confine con il Messico. Non è il momento per le sottigliezze legali delle garanzie costituzionali. Il traffico di droga è una cosa sporca e lo deve essere pure la guerra al traffico. E infatti come se non fosse chiaro anche il Messico è rappresentato come una zona di guerra, con i cadaveri appesi ai cavalcavia e i colpi di mortaio che le bande di trafficanti si sparano addosso quando calano le tenebre. "

Vuoi vedere i fuochi di artificio?" Chiede un soldato della Delta force all'agente Kate Macer, come a dire "vieni a vedere dove ti ha portato la tua sete di giustizia. Hai sbagliato posto, ragazza".

È un film che sta a metà tra la spy story e il thrilling. È il viaggio all'inferno e ritorno con ferite profonde di una troppo pura agente Fbi.
Ottimi interpreti, sceneggiatura tesa e senza cali di tensione. Buona regia.

Da vedere.

lunedì 26 novembre 2018

Prendimi???

Quasi certamente a criticare film, romanzi e company non valgo una cippa lippa. A riprova di questo sta il  fatto che non ho capito il film "Prendimi!" (Tomsic, 2018).

Qual è il senso, quale lo scopo? Ecco le ipotesi (tutte rigorosamente non verificate):
- una parabola sull'amicizia e sui veri valori della vita;
- una parodia di vari generi cinematografici che ha molto divertito chi l'ha girata e recitata;
- una dimostrazione che la realtà supera la fantasia;
- tutte le precedenti;
- nessuna delle precedenti (...no, così giusto per dovere di completezza);

Che la realtà superi la fantasia (punto 3) ce l'aveva già detto Shakespeare nell'Amleto (...ci sono più cose in cielo e in terra...), ma evidentemente agli sceneggiatori non è sembrato vero quando hanno letto l'articolo del The wall Street Journal che raccontava di un gruppo di buontemponi che ha giocato per 20 e passa anni ad una versione sofisticata e opportunamente regolamentata del gioco Acchiapparella ( o "ce l'hai tu" o "tua", a dir si voglia).

Effettivamente la cosa in sé è un po' fuori dall'ordinario ma a me non scandalizza. A quarant'anni gioco a subbuteo e nel mio club o ai tornei non sono il più giovane, e salvo qualcuno, si tratta tutte di persone sane di mente.

Da qui a farne un film, ce ne vuole. Soprattutto perché per rendere il prodotto finito e guardabile ci devi mettere qualcosa che nella realtà non c'è cioè i punti di cui sopra :parodia dei film di avventura, thriller ecc, morale che pervade tutta la pellicola con chiusa finale, creare sottotrame, e così via. Con il rischio di calcare troppo la mano, come appunto succede qui. Il film non è inguardabile, ma bisogna proprio sospendere il giudizio razionale per apprezzarlo.

Mi viene in mente un altro film di diversi anni fa Toccato! (Kanew, 1985). Lì la premessa era simile, ma lasciava posto ad uno sviluppo su binari diversi. Un gruppo di universitari gioca ad gioco di guerra in un campus americano. Il protagonista, nonché il più bravo giocatore, un imberbe Antony Edwards, viene coinvolto in un caso di spionaggio. Per quanto assurdo sia ogni film di spionaggio, lì la trama stava in piedi e pure lo sviluppo e il pretesto del gioco serviva solo a dare il la.

Comunque, del film salvo solo una cosa: la Fraserm che viene ripetuta continuamente dai protagonisti per giustificare le proprie azioni:

Non si smette di giocare perché si invecchia, m si invecchia perché si smette di giocare.

Sì, sono d'accordo.

E viva il Subbuteo! Sempre.

martedì 20 novembre 2018

Ci sono ci sono, tranqui.

Ci sono. Non ho smesso.
Ho solo passato le ultime settimane a scrivere una tesina per un corso di perfezionamento che ho frequentato.

Ho fatto in tempo a vedere su RaiPlay tutta la prima stagione, l’unica temo, di street fighter:assassin’s fist.
Produzione inglese, pochi attori e scenografie al minimo (è girata per lo più in esterno, è un discreto ti movie con buone coreografie di arti marziali. La trama è incentrata sulla parte finale dell’addestramento di Ryu e Ken e tramite un lungo flashback delle vicende da giovane del loro maestro.

Non è male, sopratutto per gli appassionati del videogioco.

Ho un paio di testi da leggere. Devo ancora decidere cosa. Su Carmilla C’è  un interessante articolo di Evangelisti su Harlan Ellison. Ho letto solo due racconti di questo scrittore: “Non aho bocca e devo urlare” e “Pentiti Arlecchino! Disse l’uomo del tic tac”. Sopratutto il primo non lo ricordo e dovrei rileggerlo.

Proverò.

venerdì 9 novembre 2018

Direttamente da Compton

Era da un po' che volevo vedere questo Straight outta Compton e ieri ci sono riuscito.
Esempio di film musicarello con gente cazzuta, è la ricostruzione, immagino abbastanza fedele, delle vicende che hanno portato alla nascita del cosiddetto gangsta rap, quella branca dell'hip hop in cui sono narrate senza mezzi termini le vicende della strada, con droga, ammazzamenti, vendette tra bande, arresti, violenze della polizia e scopate a iosa. Insomma quello che passa solitamente la Radio del Vaticano qui da noi.

È più un biopic del gruppo N.W.I. e di come si è imposto sulla scena yankee con qualcosa di denuncia sociale: la polizia losangelina pre Rodney King ha un che di Gestapo, mentre i poveri niggaz, vessati e pestati vogliono solo divertirsi ed esprimere la loro arte. Ma è tutto qui, non ci aspetti retorica alla Malcom X, non c'è nessun intento di smuovere le coscienze.

Secondo me è più un'operazione nostalgica all'insegna del "come eravamo belli da giovani"ad uso e consumo dei protagonisti rimasti in vita.

C'è chi ha il video del matrimonio e chi sgancia la pila e si fa fare un film sulla propria gioventù.

"Guarda com'era giovane papà! E come impugnava bene l'uzi!"

La storia si riduce a ripercorrere brevemente le vicende dei principali protagonisti che da una vita di piccoli espedienti sul filo del rasoio tra tirare a campare e delinquere imbroccano il colpo di culus proponendo un qualcosa che prima non s'era mai visto né sentito, il genere gangsta appunto. Da qui il successo ed inevitabilmente gli scazzi per i quattrini (per cosa se no, per risolvere la diatriba tra Kant ed Hegel sul dualismo fenomeno - noumeno?). Poi la trama vira sul tragico e la vicenda di Ease-E, morto a trentanni di aids, la fa da padrone e conclude la vicenda. Il finale mi è sembrato troncare la storia quasi all'improvviso, era finita la pellicola? Erano finiti i soldi?

Nel complesso 6 e 1/2 (sì, adesso dò o voti proprio come un professore stronzo), perché mi sembra ben girato, recitato il giusto e alla fine il ritmo non cala mai.

Come nel rap. Anzi nel gangsta.

Yo fratelli.

domenica 4 novembre 2018

Machete uccide!

È un film imperdibile per gli appassionati di Rodriguez, per tutti gli altri no. Ma diciamolo chiaramente questo Machete 2 non aggiunge niente di nuovo.

La storia è ben congegnata, i personaggi sono macchiette e Machete che non può essere nessun altro se non Trejo, è pura maschera non personaggio. Machete è Machete e basta; il character non evolve, resta sempre quello. Si capisce che si vuole parodiare/omaggiare il cinema di exploitation. E ok, mi sta a anche bene, però non è più una novità. A che serve ormai?

Sì è un film indispensabile per i fan di Rodriguez ma solo per spirito di collezionismo. Così si può dire di averli visti tutti.

Il solito finto trailer lancia un gancio ad un terzo episodio che in una escalation senza freni dovrebbe essere più incredibile: Machete va in missione nello spazio! Non so se è in programma o solo una boutade per reggere il gioco a questo episodio. Potrebbe essere il solito giochino dei finti e compagnia bella che purtroppo per Rodriguez non è più una novità.

Comunque, tirando le somme non ci si annoia. Violenza, sesso censurato, sangue a volontà, scene impossibili e tanta ironia.

Mettetevi comodi sul divano e sgranocchiate schifezze. Se siete fan non ve ne pentirete.

...Machete will be back soon...

mercoledì 31 ottobre 2018

Agente Smart. Casino totale!

È un film con Carell. Piace o non piace. È chiaro che ruota tutto intorno a lui, alla sua espressione composta ma sorniona, che sembra accettare tutto con disinvoltura. Poi sì, ci sono un altro paio di nomi, ma alla fine uno il film lo guarda per l'attore principale.

Non ne sono un fan, ma nemmeno mi dispiace. Il film scorre liscio. Non ho fatto grandi risate ma non è nemmeno stucchevole.

È una comicità tranquilla misurata anche nelle situazioni estreme o che vorrebbero essere ammiccanti.
Da questo punto di vista ricorda "La pantera rosa", ovviamente con le dovute distanze. Carell non è paragonabile a Sellers. Però l'anda è quello.

Cmq, la storia è sostanzialmente una parodia di 007 e basta.

C'è anche un seguito del tipo spin off con  protagonisti due spalle del primo film. Ho provato a guardarlo ma mi sono addormentato nel primo atto.

Insomma nel complesso 6 e 1/2. Gli dò la sufficienza perché non mi sono annoiato.

The end

lunedì 29 ottobre 2018

Sono in ritardo!

Non è che non voglio scrivere è che entro breve devo chiudere con un lavoro per in corso di formazione universitario che ho frequentato e sono in ritardo!!!!

Oltretutto è possibile e forse probabile che ne uscirà fiori una tale schifezza che potrei essere bandito a vita da tutte le università d'Italia.

Per questo sto passando i dopocena, da un po' di tempo a questa parte, a cercare di leggere e scrivere il più possibile.

È una corsa contro il tempo. Il 17 novembre è la data di presentazione e qualche notte mi sono svegliato all'improvviso per l'angoscia di non riuscire a combinare nulla o di non farcela.

Mia moglie mi dice che è lo stesso. Ma non ho voglia di presentare davanti ad un popò di persone (la bella pensata del direttore del corso è stata quella di organizzare un convegno dove far esporre i lavori fatti) di un certo tipo quali professori, professionisti ed esperti vari, una ciofeca di lavoro.

Ergo: spudoratamente me la sto facendo sotto. E intanto proseguo con l'ansia di non finire, oppure di cannare di brutto la relazione e scrivere/esporre delle emerite minchiate.

Ottimo, no?

lunedì 15 ottobre 2018

Polonia - Italia 0-1

Io non voglio prendermi il merito perché non è giusto.
Non sono sceso io in campo, non ho sudato né ho segnato io il gol.

Però vi giuro che le cose sono andate così:

Intorno al 15' del primo tempo ho iniziato a mangiare un pacco formato famiglia di fiocchi di mais, non fritti, né salati, in una confezione di plastica priva di etichette visibili che sembrava qualcosa di molto artigianale sebbene acquistata al supermercato.

Ho continuato per tutto il primo tempo e durante la pausa e mi sono fermato all'incirca all'inizio del secondo tempo senza finire il pacchetto o paccone, perché non ce l'ho fatta. Ebbene, dopo qualche minuto ho iniziato a sentire l'inequivocabile sensazione di un mattone sullo stomaco che, avendo vita propria, cerca disperatamente di liberarsi dalla tenaglia mortale dell'organismo e di risalire impavidamente arrampicandosi per le ruvide pareti dell'esofago.

In quel momento, quando si stava realizzando in me la consapevolezza che avrei passato il mio futuro prossimo riverso sul WC, ho deciso di compiere il sacrificio e di dedicare la mia sofferenza agli dei del calcio. Ho chiesto la loro benedizione in cambio della vittoria della Nazionale.

Mi sono alzato tra atroci tormenti e sono andato in bagno. Ho quindi rimesso i fiocchi di mais e già che c'ero anche la cena precedente (una lauto pezzo di pizza del bancone del pane del supermercato, esposto, nonostante il vetro protettivo, alle insidie di quelle comuni mosche che infestano le nostre contrade).

Quindi, sgravatomi dal mattone mi sono riseduto sul divano, con i crampi allo stomaco che lentamente mi abbandonavano al mio destino.

E poi, gli dei hanno esaudito il mio desiderio.
Un po' tardi, al 92°, ma non ci sputo sopra (...ci ho già vomitato, cazzo!).

Insomma, abbiamo vinto. Questo è ciò che conta davvero. L'Italia è rimasta in serie A e potremmo contendercela col Portogallo per passare il turno.

Ecco tutto.



giovedì 11 ottobre 2018

Ash ti sfascia!

Ho finito la terza stagione di Ash vs evil dead e la cosa peggiore della serie è che è finita e che forse non ci sarà una quarta stagione.
Sì, a quanto pare lo show è stato cancellato in patria  per calo di ascolti.

Posso capire che dopo in po' la formula della serie risultasse trita e ripetitiva ai più; ma almeno finire, almeno vederla fino in fondo...

Invece no. Il male non sarà sconfitto e daltronde si capisce: si può sconfiggere il male ? Non in questo mondo.

Ash vs the Evil Dead è puro horror alla Armata delle tenebre: gore a iosa, splattter, ironia come se piovesse (e parlo di una bufera), super scorrettezze politiche. Insomma qui si va oltre lArmata. Lì si era sul grande schermo e certe cose non te le potevi permettere e per scongiurare la castrazione della censura ti contenevi. Qui si può osare, e allora giù di brutto con gli ingredienti di cui sopra.

A me stava benissimo. E volevo vedere come andava a finire. Così no. Me la lasciano a metà ed è irritante.

Adesso dirò una bestialità: non ho mai visto La Casa. L'armata delle Tenebre sì, ovviamente. Ma l'armata è un terzo film che in realtà sarebbe solo un seguito de La Casa 2, che a sua volta è erroneamente considerato un seguito de La Casa.
In pratica Raimi avrebbe rifatto il primo film, andato bene anche se girato con meno mezzi. Il secondo, o remake dovrebbe essere una sorta di reboot, come si dice oggi.

Così le fonti su Internet. Comunque mi assumo la responsabilità di quanto ho scritto e anzi mi impegno a vedere entrambi i film per fare i giusti confronti.

È da vedere? Sì. E lo dice uno che a parte qualche Nightmare e un venerdì 13, l'horror non lo ha mai cagato più di tanto.

Ovvio che qui ruota tutto intorno ad Ash e quindi a Campbell, che oramai è in simbiosi con il personaggio quasi fa non potere fare altro.

Buoni i comprimari, una su tutti la Lawless che sveste i pochi panni di Xena ed è uno spasso vederla combattere contro Ash.

Infine la colonna sonora: da paura! Nel senso che ogni episodio si chiude con un tema ad hoc, ma soprattutto con bei pezzi degli anni che furono, dal rock in primis e poi a seguire.
Una su tutte: la mitica "Space Truckin' " dei Deep Purple.

Rock 'n roll guys!

mercoledì 3 ottobre 2018

Ready Player?

Sto affrontando la crisi dei quarant'anni. Cioè, non so se esiste davvero, ma io la sto vivendo.
Ecco che mi capita a fagiolo questo film. È un film per quarantenni. Punto e basta. Mi chiedo che ne possa sapere un ventenne di una DeLorean. Appena un quarantenne la vede, al massimo un trentenne via, la riconosce subito e la associa a Ritorno al Futuro.
La storia c'è. Gli attori abbastanza anche perché il girato è per lo più in computer grafica. Le premesse sono un po' tirate,: quasi tutti vivono più in un mondo che è un incrocio tra faccialibro e secondlife più che nella realtà. Insomma, vabbe', c'è la morale facile che la realtà è meglio della fantasia.
Insomma un'operazione nostalgia molto costosa. Ma non è male in fondo. Si lascia vedere senza pretendere di essere nella fantascienza dei grandi temi.
Game over.

mercoledì 26 settembre 2018

È finita un'altra serie tv...

Ho finito l'undicesima stagione di bang theory. Mi aspettavo qualcosa di più roboante. Fuochi d'artificio, bombette, festoni. Invece no, è scivolata via così, senza colpo ferire. Boh...

Ho visto finalmente Ready Player One, che mi ero perso, come ormai il 99,99% dei film che escono in sala (ma forse dopo la virgola i 9 sono periodoci).
Ok, ne è valsa la pena. È ben realizzato, è quasi tutto in computer grafica, ma fatta bene, molto fluida, che non stanca. Ovviamente è un film per quarantenni. Tanti riferimenti ai videogiochi 8-16 bit, al cinema anni 80/90 e alla musica. Un ventenne non li capirebbe. Secondo me i ventenni non sanno nemmeno cos'è una DeLorean (sfigati!).

L'operazione è palesemente nostalgica. Adesso cade a pennello. Mi chiedo che cavolo faranno tra vent'anni, cosa rievocheranno di adesso? Instagram? Wazzupp? Boh?

A me il film è piaciuto perché nonostante tutto, cioè nonostante sia intriso di citazioni e riferimenti al passato, è un prodotto fresco. È abbastanza triste vedere l'ennesimo sequel, l'ennesimo reboot, l'ennesimo film d'azione fotocopia uno dell'altro o l'ennesimo film tratto dai fumetti. Hanno rotto le palle. Non hanno più idee? Forse chi è della mia generazione ha avuto la fortuna di vivere un periodo d'oro. Quando ancora non c'era internet e al cinema andavi a stupirti, a vedere storie. Non so, forse esagero, ma è davvero triste.

The end

lunedì 17 settembre 2018

Dos palles

Non riesc o a leggere una cippa. Sono nella fase "Aborro le letture e vado a letto mezzo rimbambito dopo una serata davanti la tv".

Il programma medio della serata, a parte le normali imcombenze di figlie ed altro, la passo con forza motorsport 3 o Grid. Poi qualche puntata dell'ultima stagione di The Big bang theory.

Bisogna dare atto agli sceneggiatori di quella serie che ce l'hanno fatta a mantenere il livello delle precedenti stagioni. Almeno per quel che mi riguarda la sto trovando piacevole.

Vabbe, ho riletto in po' velocemente qulache capitolo della Storia del popolo anericano di Hans Zinn, così giusto per rinfrescarmi la memoria. Poi, calma piatta.

martedì 11 settembre 2018

Portogallo _ Italia

Avevo perso stupidamente la partita con la Polonia.

Questa comunque è stata abbastanza sconfortante. Io sono uno di quelli che sostiene che nel nostro campionato ci sono troppi stranieri. Ma magari dirlo così è sbagliato. Infatti di solito si ribatte con le statistiche che sostengono che da altre parti le percentuali di stranieri sono simili. Forse è così, allora il problema non è il numero, ma il fatto che gli italiani non giochino. Se prendiamo le big, ogni domenica schierano titolari pochissimi italiani. In pratica gli Italia stanno in panchina, se gli va bene.

Ovviamente così non si va da nessuna parte, ma è anche ovvio che ai club non freghi nulla della nazionale, perché contano solo i dane’ E basta.

Mi fa ridere leggere che Mancii non ha schierato juventini, per la prima volta da vent’anni. Bravi, e come faceva? Non ce ne sono. Persino il portiere è straniero. Magari la Juve qualche italiano c’è l’ha pure, ma ovviamente guai a farlo giocare.

Non lo so, ma a me sta serie A non piace proprio. La Juve non mi dà nessuna emozione mi dà l’impressione di una squadra asettica, fatta di automi che giocano per se stessi e per il contratto. Nessuna emozione, distanza, boh.

Comunque la Nazionale è lo specchio dei tempi. È una crisi globale di sistema. Sarò pessimista ma la vedo brutta.

Paura e sconforto .

lunedì 10 settembre 2018

Ci sono ancora

Avevo preso un buon andamento, con in media due post a settimana. Poi mi sono interrotto. Non è che ho smesso, eh.

È solo che è un periodo in po' così a tratti di depressione per la mezza età, a tratti di concentrazione su dei concorsi che sto provando proprio in questi giorni. Ci provo, ma le probabilità sono fortemente sfavorevoli e non lo dico per quella vena di pessimismo che mi è cresciuta in questi anni (almeno un'aorta parrebbe...), ma perché mi accorgo che tra motivazione altalenante e difficoltà a memorizzare, la vedo proprio dura (come è dura scrivere su 'sto ca..o di cellulare con il touch ballerino).

Cmq ho finito di vedere la terza stagione di Mr. Robot e non mi è dispiaciuta nemmeno questa. Buona dose di parsnoia, suspence, colpi di scena e disperazione. Alla fine è una serie pregevole, non c'è che dire. Molto azzeccate le citazioni registiche negli incipit delle puntate, che danno un po' il la al tono della puntata. Gli attori fanno il loro lavoro, forse Malek a volte eccede un po', ma dato il personaggio ci sta. Grandissimo Slater. Grandissimo ritorno. Uno dei miei attori preferiti dai tempi di California skate, film cult della mia generazione.

Th3 3nd

domenica 26 agosto 2018

Fight club - romanzo

Ho sentito l'esigenza di rileggere questo romanzo per due motivi: primo non ricordavo le differenze rispetto al film; secondo col sopraggiungere dei quarant'anni mi identifico sempre più nelle tesi di Tyler Durden.

Tu non sei il tuo lavoro. Tu non sei il tuo conto in banca. Tu non sei la tua auto. Tu non sei i vestiti che porti.

È inutile parlare delle differenze tra libro e film. Andrebbero fruiti entrambi in qualsiasi ordine, non importa.

Considero comunque imprescindibile la letttura della postfazione al romanzo della traduttrice Pivano. Sostanzialmente dice che per l'autore solo cancro e sangue si salvano dall'annientamento della società occidentale. Dice anche che questo romanzo è la critica della generazione x ai baby boomers. Certo, il romanzo può essere anche questo. Certo, è un prodotto della generazione x e certamente si critica la società. Però la Pivano non può entrare nel merito della critica.

A me invece piace proprio per il contenuto, per quello che viene detto.  Perché disvela i paradossi della retorica con cui siamo cresciuti. Mette a nudo il fatto che non diamo più uomini ma consumatori.

Alcune frasi sono assiomatiche.

Le cose che possiedi alla fine ti possiedono.

La tv ci ha insegnato che saremmo diventati tutti ricchi e famosi, ma non è così.

E così via.

No, secondo me la Pivano non dice abbastanza. Tyler Durden è un profeta e non a caso ha un'origine nell'inconsio, nella parte più buia e profonda e diciamolo, intimamente ribelle, della natura umana.

È necessaria una critica alla nostra società soprattutto ora che siamo quasi tutti lobotomizzati da sti cazzo di smartphone. E mi ci metto dentro anch'io, non sono un'ipocrita.

Mi viene in mente una scena splendida di Essi Vivono di Cronenberg, quando lui cammina per la città con indosso gli occhiali da sole che svelano la realtà e il complotto degli alieni. Prende delle banconote e legge cosa c'è scritto sopra davvero: Sono il tuo Dio.

Stupendo. E tragicamente vero.

giovedì 23 agosto 2018

Cuentos de futbol - autori vari

Finito il Dyd di Argento, e trovandomi a casa dei suoceri per una settimana di  montagna, necessaria sosta contro il logorio della vita moderna, ne ho approfittato per il consueto saccheggio bibliofilo.

Poiché il tempo a disposizione era poco e non volevo portarmi alcunché al rientro, ho optato per questo tascabile ed. Mondadori, del 1992, 196 pagine.

Una buona lettura estiva.
Si tratta di una selezione si racconti sul calcio per lo più di autori sudamericani, che forse lo sanno raccontare meglio di chiunque altro.

C'è un po' di tutto, coraggio, paura, tristezza, nostalgia. Ma niente di patetico. Avendo progressivamente perso la Fede nel Gioco, e questo che gli invidio, la capacità di raccontare il calcio, credendoci ancora nonostante tutto, con sincera emozione, senza sovrastrutture.

Mi chiedo se in Italia ciò sia ancora possibile. Ma temo di no. Ed è assurdo che in Italia sia così difficile scrivere o girare qualcosa di serio sul calcio senza scadere nel parodistico o grottesco (vedi i vari filmetti alla Allenatore nel pallone, che, massimo rispetto sia chiaro, non possono essere l'unica narrazione sull'argomento), o tragico (vedi Ultrà di Tognazzi).

E in tutto questo la narrativa italiana dov'è? È solo il cinema a parlarne e comunque in maniera parziale?

Qui si sconta l'idea di Letteratura come ricerca sui massimi sistemi e non come narrazione e basta. Ma scrivete e raccontate, perdio, gli annessi e connessi verranno dopo.

Hasta la vista.

venerdì 17 agosto 2018

Profondo nero. Un buon Dyd

Su segnalazione di un provvido cugino mi sono precipitato ad acquistare questo Dylan.

Ammetto che temevo di trovarmi di fronte a qualcosa di deludente, memore del doloroso trauma avuto in seguito alla visione de Il Cartaio (a proposito, dovrei recuperarlo da qualche parte, così, giusto per spirito masochistico).

Ho dovuto ricredermi dai pregiudizi e dalle paure che avevo.

Durante l'adolescenza i Dylan me li mangiavo con avida voracità, e ho avuto la fortuna di vivere quello che secondo me è stato il periodo d'oro della testata, quello delle storie più belle, quelle che rimanevano e che sono oramai dei classici, cioè gli anni novanta.

Poi non lo so.  Un po' sono cresciuto e ho perso interesse nei fumetti, un po' ho iniziato a percepire un cambiamento nel personaggio da "Indagatore dell'incubo" a paladino dei deboli e degli oppressi. Insomma mi è sembrato che quello stile unferground, horror e alternativo che rendevano affascinante il fumetto avesse lasciato il posto ad un irritante buonismo che con il personaggio non c'entrava una fava o comunque era in più. Magari è una mia paranoia, come dicono i "ggiovani", e magari se leggessero questo post gli autori mi lincerebbero, eppure io l'ho vissuta così.

Da allora qualche numero l'ho comprato, ma più per abitudine che per interesse e ho cercato di non lasciarmi sfuggire il nuovo corso voluto da Recchioni; sul quale ci sono i pro e i contro, come in tutte le cose, ma qui non ho voglia di parlarne.

E dopo 'sto pistolotto semi autobiografico, ribadisco che "Profondo nero" è stata una piacevole ed inattesa sorpresa. È un soggetto classico e la sceneggiatura, che Argento condivide con Piani, tiene bene per tutta la storia. Si vede secondo me il tocco di Argento nel modo in cui procede la narrazione e nei principali snodi della trama e soprattutto nelle sequenze senza dialoghi che sono molto più cinematografiche che fumettistiche.

Roi non è mai stato tra i miei disegnatori preferiti per quel modo troppo estetico di disegnare. Ma è forse il disegnatore più dark di Dyd e quello che si addice di più ad una storia come questa dal sapore d'antan.

Siamo forse di fronte ad una nascente e feconda collaborazione tra Argento e Dylan Dog?

Se i risultati sono questi...

Speriamo.

martedì 14 agosto 2018

Pian della Tortilla

Nella mia poderosa ignoranza devo dire che ho terminato con lentezza le 153 pagine dell'edizione di Famiglia Cristiana di Pian della Tortilla di Steinbeck, frutto di un consueto saccheggio della biblioteca di mia nonna.

Pensavo di essere più veloce, ma sarà appunto che sono un ignorante, io la traduzione di Elio Vittorini non l'ho apprezzata. Ho davvero faticato a digerire frasi in cui l'avverbio di tempo o quello di luogo sono messi davanti al soggetto quando dovrebbero stare dietro.

Ma ripeto, probabilmente dipende da me. Comunque avevo trovato insopportabile Uomini e no di Vittorini per cui qualche dubbio mi viene.

Questo Tortilla viene definito da più parti un romanzo picaresco. Forse per la struttura, a episodi e nella parte centrale anche abbastanza indipendenti tra loro quasi come dei racconti a sé stanti, forse per la libertà, scevra da qualsiasi regola che non siano i pochi capisaldi dell'amicizia, dell'onore e della religione, con cui conducono la loro esistenza i personaggi descritti. Manca infatti il viaggio, il vagabondare per mille luoghi. Le vicende si snodano in una sorta di unità di luogo, la casa del protagonista Danny nella zona appunto denominata Pian della Tortilla, a Monterey in California poco dopo la prima guerra mondiale. La durata della storia è compresa in pochi mesi. L'ambiente è quello dei paisanos, una popolazione incrocio di indio spagnoli, messicani ed altri caucasici. Essi vivono ai margini della società americana e con questa hanno pochi rapporti, più per anelito alla propria libertà che per rigetto da parte di quella.

È un romanzo agile, a dispetto della mia lentezza di lettura. Lo consiglierei anche per l'humour sottile e ironico che pervade buona parte delle vicende narrate.

Fine

giovedì 9 agosto 2018

Manuali di self-help. Un dubbio.

Per il mio compleanno Mca mi ha regalato un buono da 50 euri della Giunti. Posso andare in qualsiasi libreria di quella catena e acquistare libri fino ad esaurimento del credito per un anno.

Una piccola parte l'ho già spesa. Nella mia città e paesi limitrofi di Giunti ce ne sono almeno 4 e forse 5. Prevalentemente nei. Centri commerciali. Non ci vado spesso. Oramai non frequento più tanto le librerie, e se devo leggere approfitto di ebook o delle librerie dei parenti.

Ma i soldi non voglio buttarli ovviamente.

Finora ho comprato in libro di self help di in giapponese. Non ce l'ho sotto mano e non mi ricordo nemmeno il titolo. L'ho sfogliato in libreria e mi è piaciuto, poi a casa ne ho letto la prima parte e l'ho lasciato lì. Mi sembrava banale.

Va bene, e allora?
Allora mi lascio persuadere dai manuali di self help. Il principio di questi libri è che dalla lettura e magari da qualche esercizio dovrebbe realizzarsi un cambiamento comportamentale. Che realmente si verifichi non lo so.

Ho un dubbio: sono scritti per i gonzi? E nel dire questo mi ci metto in pieno nella categoria.

Perché uno dovrebbe acquistare un libro del genere? Perché fondamentalmente si sta male o si ha in problema e si vorrebbe cambiare/risolvere e non so è in grado di farlo. Ci si rivolge a questi libri sperando di trovarci chissà quale chiave di volta della propria esistenza. Ci casco anch'io. Ogni volta che passo davanti allo scaffale di psicologia/marketing sono sedotto dai titoli altisonanti del tipo "Cambia la tua vita" , "Smetti di piangerti addosso", et similia.

Le copertine accattivanti, i titoli roboanti, le promesse irrealizzabili sono ingredienti troppo succulenti per uno come me. In gonzo appunto.

Magari certi consigli funzionano anche. Magari delle verità ce le puoi anche trovare. Ma non credo che la lettura di un testo o di più di ino simile possa portare chissà quale rivoluzione nella propria esistenza. Sono forse arido? Sono una persona arida che non si lascia emozionare? Boh, non ne ho idea. Il fatto è che credo che un percorsi si psicoterapia sia più efficace per raggiungere gli stessi risultati; ovvio, però è più oneroso.

Allora Napval che si fa, si leggono o no 'sti manuali?

Maccheccazzo ne so. Io sono qui impigliato in un lavoro del cavolo, senza sbocchi, senza prospettive. Ci ho già lasciato gli anni migliori con tutto un correlato di ansia e depressione che sta pure peggiorando con il passare degli anni.

Ottimo direi.

martedì 7 agosto 2018

Sing - un buon cartone finalmente

Giorno 2 cartone 2.
Questo Sing mi è piaciuto e nessuna figlia ha avuto paura. Bella forza, non ci sono i cattivi e se ci sono, sono innocui.

I protagonisti sono un gruppo di aspiranti cantanti che vivendo una vita che non è la loro, non hanno ancora potuto realizzare il proprio desiderio più grande: cantare.

È un film per tutti. Ovviamente ci sono citazioni e rimandi che i più piccoli non possono capire (una su tutte l'assolo heavy netal di Marty McFly in Ritorno al futuro), però la storia è facilmente comprensibile da tutti.

Qual è il messaggio? Realizzare se stessi. Qui il cattivo o villain del film è solo la paura. Cioè l'emozione che impedisce ai protagonisti di diventare ciò che vogliono.
Mi sembra che sempre più il tema di fondo della moderna animazione americana sia questo: scoprire chi si è, a cosa si è destinati e riscattarsi da una vita insoddisfacente. Gli ultimi della Disney che ho visto hanno tutti in comune questo tema, basti pensare a Ralph Spaccatutto, Frozen e l'ultimo Oceania, dove è evidentissimo.

Riducendo la trama è questa: c'è un tipo/tipa che non sa chi è oppure vive senza aver espresso davvero propri talenti. Avviene un fatto, spesso fortuito che costringe il personaggio a fare i conti con la nuova realtà o che gli crea un problema. Il personaggio è in difficoltà. Il personaggio trova dentro di sé la chiave per risolvere il problema e contemporaneamente scopre di essere qualcosa di diverso da quello che era convinto di essere. In pratica realizza e definisce il vero sé.

L'autorealizzazione che passa dal riconoscimento e accettazione del vero sé è la chiave di lettura di questi lungometraggi animati.

In Sing la cosa è estesa a più personaggi, principali e comprimari ma la sostanza non cambia.

Comunque lo consiglio.
Fin

domenica 5 agosto 2018

Pets, vita da animali. Per chi?

Cerco di sfruttare più che posso il mese gratuito alla pay tv che mi scadrà la prossima settimana. Non so se rinnoverò. L'intenzione c'era fino a qualche giorno fa.
Propongo alle figlie di vedere Pets - vita da animali .

La più piccola si è spaventata, la più grande l'ha visto fino in fondo e non ha commentato. A me non è piaciuto.

È ormai un dato di fatto che la grande D statunitense non abbia più l'esclusiva sui film d'animazione e che il regno o impero deve essere condiviso con altri produttori. Solo mi chiedo: a chi sono indirizzati questi film?

In tempi di monopolio un film d'animazione era una garanzia. Poteva riuscire o no e in genere riusciva, ma sapevi che lo potevi guardare con i figli e soprattutto che questi avrebbero compreso la storia, i dialoghi, le ambientazioni.

Adesso mi sembra un florilegio di citazioni, rimandi, richiami e complessità. Insomma, sarà il solito specchio dei tempi, ma a me sembra che questi film di animazione siano fatti da adulti per adulti. Ora la cosa non mi sconvolge, né mi interessa più di tanto, però è come se si fosse perso qualcosa. Tutto qui.

Boh, sto post è un po' sbilenco. Ma va bene così.

Ciao

lunedì 30 luglio 2018

Jupiter - il destino dell'Universo

Complice l'assenza di moglie e figlie ancora impelagate nelle vacanze estive, ho sottoscritto un mese di abbonamento gratuito ad una tv on demand. Sto cercando di sfruttarla al meglio. Ma il bouquet di film, come dicono loro, ha a mio avviso poche novità. Oppure sono io che ho visto troppi film. Fatto sta che mi sono rivisto nell'ordine: Wanted, Gambit, La talpa (splendido!), il grande Lebowski (come facevo a non rivederlo?). 

L'unico film non ancora visto era finora questo Jupiter (2015) che viene inserito nella collezione fantascienza. Quando ho visto che era dei Wachowski, ho pensato: e che stai aspettando, che finisca il mese gratuito? 

Il film si lascia vedere, perché per tutta la durata il ritmo è costante. La trama è abbastanza capziosa e un po' criptica. E poiché sono irrisolti alcuni aspetti (non muoiono tutti quelli che a mio avviso dovrebbero), non vorrei che qualcuno avesse immaginato già di farne una serie. Per fortuna non mi sembra che siano in programma sequel anche se temo che il progetto sia stato lasciato nel cassetto in attesa di tempi magri. 

Un po' una cosa del genere: 

Produttore 1: Be' sono tempi di vacche magre dobbiamo raschiare il barile, che abbiamo? 
Produttore 2: Mah, ci sarebbe Jupiter. 
Produttore 1: Che cos'è? 
Produttore 2: Ma sì, ricordi? Lo avevamo lasciato in sospeso apposta. E' quello di fantascienza...con la tipa che scopre...
Produttore 1: Ah sì, ora ricordo. Ma mi era sembrata una mezza ciofeca e c'era andata pure di cacca con i profitti. 
Produttore 2: Eh, ma che vuoi, non abbiamo nient'altro per le mani e la pagnotta ce la dobbiamo pure guadagnare. Proviamoci un'altra volta. Magari questa volta ci mettiamo dentro qualche star che attiri i fessi.
Produttore 1: Hai ragione. Vabbé, facciamolo. 

Ecco, ho immaginato una cosa così.

Comunque, molto buoni gli effetti speciali e su questo i Wachowski sono una garanzia; gli un po' meno. La Kunis è al minimo sindacale, così come pure Tatum e un po' tutti gli altri. Unica menzione se la meriterebbe a parte Redmayne per quel tocco di follia che mette nel personaggio, ma per il resto è calma piatta. 

Conclusione: non lo metterei proprio sotto "fantascienza" o meglio creerei un sottogruppo (o un altro gruppo di pari dignità, se volete), che chiamerei "fantascienza per ragazze". Alla fine si tratta di una simil cenerentola spaziale. O un po' una riedizione della vecchia favola, per ragazze appunto, in cui c'è una sfigata che conduce una vita sfigata ma che in realtà è una principessa, così arriva il bel principe (il Channing in questo caso) a redimerla dalla sfiga e a rivelarle la strada per il regno. Poi magari ce l'accompagna pure su un cavallo bianco, così le ragazzine sono più contente. Non so perché i Wachowski l'abbiano messa giù così questa volta. Spero che non si siano identificati troppo con una certa narrativa di genere che secondo me guasterebbe alla loro produzione futura. 
C'è anche da dire che un film del genere potrebbe essere ricondotto al filone delle eroine alla Divergent e Hunger Games. E guarda caso ne hanno fatti dei sequel. Non so se l'intenzione fosse quella di specularci, ma il dubbio resta. 

Alla prossima. 

sabato 28 luglio 2018

Paura di una scrittrice?

L'unica cosa interessante che mi è capitata al lavoro ieri mattina è stato l'incontro con una scrittrice-sceneggiatrice di fumetti abbastanza nota nell'ambiente. Non intendo fare nomi, non è questo il punto. Scrive sceneggiature per un fumetto importante e ha scritto anche qualche romanzo (tre o quattro finora, mi sembra), e per qualche motivo a me sconosciuto e abbastanza incomprensibile vive insieme al marito e alle figlie nel paesello in cui lavoro. Sarà, ognuno si sceglie la propria croce...

Ieri mattina lei è entrata nel mio ufficio per un'informazione generica al che le ho risposto con la consueta professionalità e cortesia che mi contraddistinguono. Dopodiché, avendola riconosciuta le ho timidamente chiesto conferma della propria identità e altrettanto timidamente le ho infine chiesto se potevo stringerle la mano e congratularmi con lei in qualità di lettore di fumetti.

Lei è stata molto gentile, mi ha ringraziato e mi ha salutato. Era evidente che avesse fretta di chiudere ed è anche comprensibile, tanto è vero che non mi sono permesso di trattenerla in alcun modo. 

Qual è allora il punto? Il mio atteggiamento timoroso e impacciato di fronte ad una persona nota. 
Magari non una star con la S maiuscola, ma certo una persona nota, almeno nell'ambiente. Non è questo l'importante. Il punto è il mio atteggiamento. Come si può definire? Timidezza, paura, mancanza di autostima. Non è certo piaggeria o genuflessione nei confronti dei "potenti" (ma di che potere poi?). E' più qualcosa che ha a che fare con la viltà, qualcosa di sciocco, comunque. 

Mi è già capitato di incontrare qualche altro "personaggio", della musica, della tv o dello sport e spesso avuto un po' di timore. Più di una volta mi sono ben guardato dal presentarmi e chiedere autografi (come si faceva una volta) o selfie (come si fa ora). Il che può anche andare bene, perché spesso questi incontri fortuiti sono avvenuti in contesti normali e quotidiani, quando magari il vip in questione non aveva la minima voglia di essere importunato dal classico sconosciuto. Però mi rimane un senso di inadeguatezza che è piacevole.

Detto questo qual è la morale di questo episodio? Cosa ci insegna, a parte che sono un coglione? 
Boh.

Ciauz💩

giovedì 26 luglio 2018

X-men le origini - Wolverine (Usa, 2009)

Ieri sera, complice il fatto che le donne di casa sono ancora in ferie, ho rivisto fino ad oltre i titoli di coda questo X-men le origini - Wolverine.

Come si chiama la sequenza post titoli di coda? Ha un nome tecnico o qualcosa di simile? La possiamo chiamare semplicemente la post titoli ?

Mi viene in mente un pistolotto sul potere di darei nomi alle cose, la stessa cosa che fa Adamo nella genesi, per cui le cose iniziano ad esistere per noi umani in quel momento. Anche dare un nome fa parte dell'atto creativo, e Dio assegna ad Adamo questo compito, coinvolgendolo così nell'atto creativo...oh, sveglia! No, ma dico, io sto parlando di cose serie e vi addormentate.
Allora chiudiamo il post su Wolverine.

Attenzione spoiler
Dunque, nella post titoli Adam...cioè Wolverine, si trova in un bar e risponde alle domande di un'avvenente bartender nipponica. Ebbene, perché questa ragazza è giapponese? Dove si trova Wolverine? In Giappone, si presume. Che è proprio dove è ambientato il sequel Wolverine l'immortale.


Allora nella post titoli c'è l'aggancio al sequel.

E io l'ho capito solo ieri sera.

The End

mercoledì 25 luglio 2018

Il Suono del Secolo di S.Mannucci (ed. Mursia)

Finalmente l'ho letto.

Me l'ha regalato MCA per il compleanno e l'ho letto in breve tempo.


Non è un storia del rock, che in sé sarebbe pure pedante, né una spiegazione, che sarebbe assurda (il rock non si spiega!). È un racconto sul / del rock dagli albori ai giorni nostri.
È un racconto nel senso ampio del termine e penso che con questo approccio vada letto.

Mannucci ha uno stile circolare: inizia da un episodio minimo, o minore, spesso una o due frasi pronunciate da qualche rocker per dare il la ad una narrazione che si allarga in riferimenti e trame anche distanti per poi ritornare alla partenza e chiudere.
I capitoli che si susseguono sono legati più dall'assonnaza degli argomenti che dalla cronologia degli eventi.
Si racconta di episodi realmente accaduti, di numerosi aneddoti e di credenze e miti sfatati.

È un testo necessario per due ragioni: per trasmettere qualcosa ai giovani millenials che si sono persi la stagione originaria del rock, quella del vinile e dei concerti senza telefonino (e mi chiedo che cosa ne capiranno, ammorbati come sono dallo streaaming di cagate commerciali/pop, sia chiaro non ho nulla contro il pop, è solo che quello di adesso mi sembra artificiale e incapace di veicolare emozioni) e per ricordare ai più vecchietti, diciamo dagli anta in su, che hanno fatto in tempo a sentire Cobain, i Soundgarden e il nu-metal, ma senza sdilinquimenti nostalgici che cos è stato il rock and roll.
Ecco un'altra cosa che si apprezza è l'assenza della triste nostalgia del "Quella sì che era una bell musica" . No, Mannucci è corretto e da onesto appassionato di musica non ha pregiudizi nei confronti di nessun genere musicale.

Che dire? Consigliatissimo.

Rock 'n roll fratello!

Il prete bello - Goffredo Parise

C'è ancora qualcuno che nel 2018 legge "Il prete bello" di Parise? Mi auguro di sì.

Si tratta di una piccola perla che l'oblio per una certa letteratura del primo novecento rischia di far affogare nel dimenticatoio.

Non siamo catastrofici su'? Eppure sono convinto che certi romanzi, soprattutto per le nuove generazioni, che passano il loro tempo a cazzeggiare sui cellulari, siano sconosciuti e tali resteranno.

Vabbe', la smetto di tirarmela, nemmeno io ho letto granché e allora non ho il diritto di criticare. Chi è che diceva "Chi è senza peccato scagli la prima pietra" ? Uhm, sì coso, aspetta... ce l'ho sulla punta della lingua...

È un romanzo scorrevole, Parise ha, come Piero Chiara, uno stile lieve ma con cui potrebbe scrivere qualunque cosa, e che io, da scrittore della domenica, e tra un po' nemmeno quella, gli invidio terribilmente.

Non c'è una vera trama, ruota tutto intorno alle vicende e ai turbamenti prodotti dalla figura di Don Gastone Caoduro, prete di bell'aspetto e dotato pure di una certa ambizione, che produce nelle abitanti di un caseggiato vicentino poco prima della seconda guerra mondiale.
Ma poi sono tutti episodi o sottostorie che si incastrano perfettamente. C'è un climax che ha per protagonista Cena l'amico della voce narrante Sergio, e che a mio avviso, insieme al Ragioniere, uno dei personaggi più divertenti del romanzo.

Quindi è un romanzo moderno, per stile, trama e contenuti. Siamo dalle parti di Uccelli di Rovo, per intenderci. Ok, ma pure i preti sono uomini o no? E non so la chiesa come l'abbia presa all'epoca, ma immagino non benissimo. 

Quanti altri romanzi sono leggeri nello stile e pesanti nei contenuti allo stesso tempo?

E perché leggere nuovi romanzi scadenti se ci lasciamo alle spalle quelli buoni senza nemmeno averli letti?

E soprattutto: ma la smettiamo di farci le seghe mentali su quali siano i buoni romanzi e quali no e non leggiamo e basta?

Ciao ciao.

martedì 24 luglio 2018

Deadpool 1 e 2

Approfittando del fatto che moglie e figlie sono al mare e di una programmazione della multisala warner che proietta Deadpool 2 per una settimana in seconda serata al modico prezzo di 3 euri et 90 centesimi, ieri sera sono andato al cinema.

Avevo visto il primo Deadpool e mi era piaciuto ora il secondo che speravo di vedere in proiezione estiva a basso prezzo (Braccio corto, Napval? No, caro, solo oculatezza).

Ma siccome l'orario di proiezione delle 22.30 mi spaventava, ci ho pensato su tutto il giorno, lambiccandomi il cervello sull'opportunità o meno di stare fuori fino a tardi, finché verso le diciotto una provvidenziale collega, a cui ho confidato i miei dubbi, non mi ha fatto notare quanto sia vecchio a fare certi ragionamenti.

Grazie cara, e sì ci avevo pensato anch'io più o meno verso le tre del pomeriggio.

Allora cacchio, ho pensato, ci vado e se domani avrò mal di testa chissenefrega prenderò un moment.

Poi al cinema sono arrivato per primo e per dei buoni dieci minuti ho temuto di essere l'unico ad assistere alla proiezione (la mandano lo stesso? Ma sì, cavolo, ho pagato...), finché dapprima una coppia e poi alla chetichella un gruppetto di nottambuli in ordine spazio non ha deciso di farmi compagnia. Bene.

E dopo questa pallosissima premessa arriviamo al film.

Li metto insieme perché al di là della trama il senso di Deadpool è solo uno far fare quattro risate. Se poi sono grevi è meglio.

Ci ho pensato mentre tornavo a casa, cercando di restare sveglio e di non prendere qualche platano sul ciglio della strada, in effetti il piacere di guardare Deadpool sta tutto nelle battute, nei dialoghi e negli sketch.

Perché per il resto, ok le azioni e i combattimenti, che lo sappiamo sono sempre quelli, per quel che mi riguarda non mi colpiscono più di tanto; la trama poi è abbastanza lineare nel primo dove c'è la novità e si potrebbe anche chiudere qui mentre nel secondo è un po' più complessa e comunque non potrebbe stare da solo per i troppi rimandi al primo film; insomma si poggia quasi tutto sulle chiacchiere di Deadpool quindi o in un eventuale terzo film tirano fuori qualcosa di più dalla trama oppure è meglio finirla qui.

Lo sappiamo che ormai i film di supereroi sono sempre quelli: c'è un cattivone, un buono un po' ritroso ad impegnarsi perché cia' i cazzi suoi, qualche spalla sfigata a cui è demandata la parte divertente, una bella gnocca che dice qualche frase ammiccante, un mega scontro con i soliti effetti speciali, il buono sta per morire ma alla fine ce la fa; vissero tutti felici e contenti; titoli di coda e scenetta post titoli.

Sì, adesso c'è la variante: qualcuno dei buoni muore, la spalla o la gnocca, dipende da quanto gli sceneggiatori vogliono osare. Capirai che sollazzo.

Vabbe. A chi è piaciuto il primo film piacerà anche il secondo. Buona visione.

Per finire: ho preso i pop corn e una coca. Una ladrata.
Stanotte poi mi sono svegliato  alle quattro con la paura di morire e un forte reflusso.
Stamattina niente mal si testa, evvai, ma non so perché, e so che non c'entra niente, è da qualche ora che ho in testa Eleanor Rigby dei Beatles.

Boh?

domenica 22 luglio 2018

I love Radio Rock

Forse dovrei iniziare scrivendo qualcosa sul fatto che non posto niente da un bel po' di tempo, ma non me ne frega nulla quindi...

Ieri ho finalmente visto I love Radio Rock (2009) di R. Curtis, che finora avevo solo visto a spizzichi e bocconi e mai fino alla fine.

Bisognerebbe tirare fuori il compianto Labranca che scriveva, se non sbaglio su Chaltron Heston, in commento di Questo piccolo grande amore di Baglioni, un elogio nostalgico e quanto mai veritiero sul fatto che lui, come molti altri, e come me del resto, avesse rimpianto di non aver vissuto i microeventi narrati nella canzone.

E questa è proprio l'emozione che suscita il film. Non è la Swinging London di cui si parla, ma di fatti ambientati durante quel periodo, in cui all'esplosione del rock seguiva il proliferarsi delle radio pirata che in barba alla barbosa BBC trasmettevano senza freni né ritegno la musica che i giovani dell'epoca volevano davvero ascoltare. Stiamo parlando di fatti reali seppur qui romanzati e resi in commedia musicale.

Eppure non è questo il motivo per cui il film piace e suscita quel rimpianto per ciò che non si ha vissuto.

Sono gli amici. I bagordi. Lo stare in mezzo al mare in una nave anarchica con una combriccola anarcoide ma sotto l'egida di un pater onestamente sopra le righe. Il rock, quello buono certo. Sono le ragazze che arrivano una volta ogni due settimane e quindi giù sesso o se non si è esperti e navigati (appunto!), giù con le prime esperienze e perché no figuracce.

E' tutto questo ed è anche fare finalmente ciò che veramente piace e ciò in cui si crede e sentirsi ancora vivi quando le luci si spengono.

E' un film leggero. Ma è un film che consiglio e che rivedrei con piacere se non altro per provare un po' di quell'emozione del rimpianto di non aver vissuto quei momenti e risognare ad occhi aperti di essere parte dell'equipaggio di quella folle barca.

Se ya later...

sabato 3 febbraio 2018

Non c'è niente da leggere in questo post!

Dunque...
Breve riepilogo giusto per scrivere qualche cavolata e lasciar scorrere inutilmente il tempo:
- sto leggendo "I segreti di Bologna" di Priore e Cutonilli, sulla strage di Bologna. In due parole: avvincente e inquietante.
- ho appena finito "L'arte del counseling" di Rollo May e mi convinco sempre di più che le edizioni Astrolabio sono le migliori. E comunque è una lettura imprescindibile per tutti coloro che vogliono intraprendere la professione.
- sto guardando le seguenti 3 serie:
Star Trek Discovery;
Vikings;
Immaturi;

Ok, lo riconosco le prime due hanno  un senso, la terza no, ma non ne posso fare a meno, ormai è diventata l'appuntamento fisso di tutta la famiglia del venerdì sera. Fatevene una ragione. Rivendico la libertà. Di leggere e vedere quello che mi pare.

Prrrrrrr!

Questa era una pernacchia.

martedì 16 gennaio 2018

Immaturi - la serie

Per colmare il vuoto pneumatico del palinsesto televisivo del venerdì sera, mi sono farro convincere da mia moglie a guardare la prima puntata di "Immaturi", la serie ispirata a (o tratta da?) i due film dal titolo omonimo.

Lo so che esiste un girone infernale apposito per tutti coloro i quali pur avendo la possibilità di dormire, leggere un buon libro o cazzeggiare al pc decidono di sprecare il proprio esiguo tempo libero davanti alla tv spazzatura. Ma con tutti gli anni di Inferno che mi dovrò già fare per lussuria et similia, ho pensato "Be', è lo stesso".

Allora Immaturi. Diciamo subito che non ho visto i film omonimi quindi non posso fare confronti.

La sceneggiatura è passabile, sempre ovviamente che si sospenda il giudizio razionale e si accetti la premessa per cui i protagonisti debbano rifare l'esame di maturità (incubo conune e condiviso da migliaia di ex studenti traumatizzati dalla nostra Scuola). L'ho trovata un po' caotica e frammentata con più intrecci e sottotrame e personaggi abbozzati che immagino srabno sviluppati nelle prossime 7 puntate (dovrebbero essere 8 mi totale mi sembra).

Le due note positive sono una che non mi sono addormentato sul divano e quindi per il principio del divano il prodotto è godibile, e l'altra che la recitazione (anche quella di Luca e Paolo) è superiore al livello parrocchiale. Insomma non siamo ai livelli di Gomorra, ma due battute in croce le sanno dire.

Continuerò a vederla e a sorbirmi anche le restanti 7 puntate? Probabilmente sì, sempre che il sono o la possibilità di giocare all'Xbox, causa televisore libero, non prendano il sopravvento.

Adieu.

giovedì 11 gennaio 2018

Congratulazioni hai appena incontrato la I.C.F (West Ham United)

Dovendo scegliere quale regalo di Natale farmi avevo optato per il libro di Stefano Mannucci "Il Suono del secolo". Nelle settimane che hanno preceduto le vacanze ho ascoltato alla radio, mentre andavo al lavoro, diversi aneddoti sulla storia del rock raccontanti dallo stesso Mannucci e riportati nel libro (in pratica una quotidiana marchetta per far acquistare il volume) ed ero interessato all'argomento (lo sono tutt'ora, non scherziamo!) . 

Poi quando si è trattato di passare al dunque mi è tornato in mente di questo libro di Cass Pennant che mi ero sempre ripromesso di leggere e che non avevo mai letto, così ho cambiato completamente idea e ho scelto "Congratulazioni...".
Non importa, prima o poi, non nel breve credo, mi procurerò anche il libro di Mannucci.

Quando l'ho acquistato ho letto sul volto del commesso della libreria un sorrisetto ammiccante del tipo: "Finalmente abbiamo trovato un pirla a cui sbolognarlo". Credo che  fosse rimasta l'ultima copia presente nel raggio di un migliaio di km. Quel tipo di copia che rimane così a lungo sugli scaffali che alla fine si sedimenta e non è più possibile tirarla via se non strappandone le pagine e la copertina. Probabilmente se avessi aspettato ancora me l'avrebbero tirato dietro, sempre che si ricordassero di averlo sugli scaffali. Ma io invece l'ho comprato a prezzo pieno: 12 euri, edizione Baldini e Castoldi per un totale di 441 pagine (e ora che lo riprendo in mano mi accorgo che la mia edizione è stata stampata a marzo 2017! Minchia! E' pure nuovo! La prima versione Baldini e Castoldi e Dalai editore è del 2004). 

Sono pentito della scelta? No, affatto. Sicuramente però mi aspettavo qualcosa di diverso. Se vi fate un giro sul web scoprirete che questo testo è accreditato come un must per tutti coloro che si interessano di ultras, hooligans e tifosi vari. Indubbiamente la I.C.F. (Inter City Firm - che deriva dal fatto che i suoi membri utilizzassero i treni intercity inglesi, per sfuggire ai controlli della polizia e presentarsi senza preavviso agli avversari) è stata una importante firm  nel panorama hooliganistico inglese (ma esiste 'sto termine? Ah no? Oddio, ho creato un neologismo!) Da qui l'importanza di "Congratulazioni...", in quanto testimonianza di uno dei suoi fondatori.

Ma è proprio questo di cui si tratta: una testimonianza. Sinceramente mi aspettavo una sorta di storia della firm. Cioè ero interessato a conoscere come è nata e come si è imposta la I.C.F. sulle altre bande del tifo organizzato. A questo il libro risponde in parte. La storia, per come la intendo io, traspare dai vari capitoli che seguono più un filo conduttore non necessariamente cronologico quanto quello della rivalità con le firm avversarie. Ecco che allora c'è il capitolo sul Millwall, quello sul Liverpool, quello sul Chelsea e così via. Per buona parte del testo, Pennant lascia la parola ad altri membri da lui incontrati in una sorta di Revival del 2001, in cui gli esponenti più rappresentativi della compagine hanno partecipato ad una trasferta organizzata a Manchester, in occasione di una partita di FA Cup. Da qui, da questo, meeting autocelebrativo e in parte dai racconti degli episodi vissuti insieme dai partecipanti nasce l'idea del libro.

Forse non sarebbe potuto essere diversamente. Non ci sono molte analisi o spiegazioni. Chi cerca risposte, come il sottoscritto, può solo stare a sentire i racconti degli hooligans degli anni settanta - ottanta diventati ormai rispettabili lavoratori e membri di diritto della onesta società. L'idea che pervade tutto il libro è un po' quella che non vuole spiegare ma mostrare. Un po' come se questi ex-hooligans ci dicessero: "Ecco, noi ve la facciamo vedere come era una volta, come era ai nostri tempi. Noi facevamo questo e quest'altro. Cose che voi nemmeno vi potete immaginare". Questo a mio avviso rende un po' monotona la lettura. Sì, ok, vi siete menati con quelli del Chelsea, poi da capo, vi siete menati con quelli del Manchester, poi con altri, e così via. Embè?

Ovviamente un minimo di commento c'è. Ed è la voce di Cass Pennant che ordisce la cornice entro cui dare voce ai suoi ex compagni di battaglie. Nonché fornirci una spiegazione del perché il fenomeno sia andato scemando. Confermandoci inoltre che il fenomeno si può contenere, se non addirittura controllare o reprimere.

Concludo con un concetto forse banale. Di fronte ad operazioni del genere mi vengono sempre i dubbi del borghesuccio ingenuo. In questo caso ingenuamente mi chiedo: quanto di autocelebrativo o di nostalgico c'è in quest'opera? A che pro infatti? Certo, se si vuole conoscere il fenomeno il modo migliore è quello del dare la voce ai diretti interessati e ascoltare. Ma è solo il primo passo. Cosa possiamo / dobbiamo dedurre da tutto ciò. In mancanza di una riflessione sul fenomeno il fenomeno stesso rischia di prendere il sopravvento. Ci sono due frasi romantiche, ma ambigue sulla quarta di copertina della mia edizione. La prima è accreditata come motto dell'I.C.F. e recita così: "Se non hai avuto una gioventù bruciata hai bruciato la gioventù". La seconda invece è dello stesso autore che afferma: "La violenza è il teppismo non furono mai insensati: c'erano dietro una cultura, una moda e una capacità di creare dipendenza". Bisogna fare attenzione. Siamo sempre sul filo del rasoio della spettacolarizzazione della violenza.

Bye Bye,

martedì 9 gennaio 2018

Il bisogno di credere

Eccoci qui al secondo post che avevo in mente: 

IL BISOGNO DI CREDERE di Erich Fromm

Diciamo subito che si tratta di un saccheggio della biblioteca dei miei suoceri. Tutte le volte che li vado a trovare, come un novello Francis Drake che assaliva le navi spagnole, mi avvento sulle loro librerie ricolme di tesori. Con una personale lettera di Corsa sancita dalle parole di mia moglie, la mia regina d'Inghilterra: "Ma sì, prendilo pure." 


Detta pure 'sta minchiata passiamo al testo in questione. 

Avevo già letto poco tempo fa "I cosidetti sani", altro testo interessantissmo sulla condizione dell'uomo moderno e il concetto di sanità mentale così come viene comunemente accettato. 

Poiché qui si tratta di una raccolta di saggi, qui ve n'è uno che addirittura intitolato "la condizione attuale dell'uomo" che ho trovato molto significativo e chiarificatore della situazione odierna dell'uomo occidentale. Il che riprova che il testo è comunque attuale sebbene sia stato scritto un bel po' di anni fa. Il copyright sulla quarta di copertina è del '63.

Il libro è un insieme di saggi distinti e in realtà scollegati tra loro. Si tratta di una raccolta di studi sparsi alcuni anche molto più recenti degli anni sessanta, basti pensare al primo e forse più significativo "Il dogma di Cristo", pubblicato per la prima volta in tedesco addirittura nel 1930. 

La lettura è molto scorrevole. E' tranquillamente fruibile anche dai profani o da chi non ha alcuna infarinatura di psicologia o di psicoanalisi poiché Fromm si preoccupa sempre di spiegare in modo semplice e chiaro i concetti di psicoanalisi che introduce nella sua analisi. Spesso questa travalica la psicologia per sfociare nell'analisi storica, sociologica o anche politica. Il che secondo me rende le cose ancora più interessanti. Un ulteriore aspetto che rende la lettura ancora più chiara è la sua tendenza a riepilogare sempre alla fine di ogni saggio il suo punto di vista. Inizia spesso con la locuzione "riassumendo". Be', devo dire che l'ho apprezzato molto. Così non ho dovuto scervellarmi a seguire il filo del discorso. 


Nel dettaglio ecco l'elenco dei saggi inclusi nella raccolta: 

Il dogma di Cristo
Perché ad un certo punto delle persone della Palestina di 20 secoli fa hanno iniziato a credere che un essere umano fosse Dio? Ecco la domanda la domanda a cui tenta di rispondere questo saggio. Qui si comincia con un'analisi storico - politica e si sfocia ovviamente nella psicoanalisi senza però dimenticare l'analisi dell'evoluzione teologica del dogma che ha assunto nel corso dei primi anni del Cristianesimo diverse accezioni. Il perché di queste trasformazioni è spiegato con un adattamento ad una determinata mutazione delle condizioni sociali. I primi Cristiani erano gli afflitti, le masse del popolino succube dei soprusi. Costoro avevano bisogno della figura di un uomo che diventasse Dio. Il primo Gesù era questo. Un essere umano che assumeva il posto alla destra del Padre (Padrone). L'aggressività dei credenti era rivolta contro il Potere. Poi la religione esce dall'alveo originario e si diffonde per tutto l'impero "contagiando" anche altre classi sociali che non avevano bisogno di rivendicare i soprusi subiti in una vita ultra terrena. Ecco allora che il dogma si trasforma. E' Dio che si è fatto uomo. Non era più necessario rovesciare il padre perché non era più questo il bisogno dei credenti. Essi avevano necessità di un Padre buono che amasse i propri docili figli, purché appunto rimanessero tali e non si ribellassero al Potere. Infine una terza trasformazione: quella da Dio - Padre severo a Padre amorevole, quindi Madre buona. Secondo Fromm il cristianesimo del Medio Evo, spodestato dal protestantesimo che ritorna al Dio Padre, si sarebbe fondato su un atteggiamento infantile e passivo come quello del fanciullo che cerca e accoglie le cure della madre amorevole. Ironicamente, Fromm afferma che se questa mutazione fosse avvenuta in un unico individuo, questa regressione sarebbe stata un chiaro indicatore di malattia mentale, mentre essendosi svolta nel corso dei secoli ed essendo comune a tutti, è stata l'espressione di un adattamento sociale. 

La condizione attuale dell'uomo
Mi ha colpito particolamente. Fromm mette in guardia contro la "reificazione" dell'essere umano. Da individuo, che prova sentimenti veri, l'uomo diventa cosa, oggetto con delle qualità e tali infatti si valutano quando lo si descrive. L'uomo moderno è il suo lavoro, il suo successo, il suo denaro. Il suo valore è dato da queste cose. In caso contrario si tratta di un fallito. Splendido. Non è forse stato detto chiaramente da Tyler Durden?  (be', magari Fromm non dice che siamo la canticchiante e danzante merda del mondo...).

Sesso e carattere
Leggetevelo. La domanda è: esistono differenze tali tra uomo e donna che inciderebbero necessariamente sul loro carattere? No, o meglio non proprio.

La psicoanalisi. Scienza o linea di partito?
Non l'ho letto. Sì, l'ho proprio saltato a piè pari. Va bene, ho letto le prime due pagine e ho pensato. Ma chissenefrega! Si parla di diatribe all'interno del movimento psicoanalitico. Non dico che non lo leggerò mai. Ma in questo frangente dell'argomento non me ne poteva fottere di meno... sono stato chiaro? Ho confessato, apprezzate almeno l'onestà.

Il carattere rivoluzionario
Oh, qui abbiamo qualcosa di succulento. Dunque com'è un carattere rivoluzionario? Sono i rivoluzionari persone comuni o no? In realtà si resta spiazzati dalla spiegazione di Fromm e qui sta il bello. Non è come potrebbe sembrare, perché esistono diversi tipi di rivoluzionari. Ma il vero rivoluzionario allora chi è? Una persona sana, viva e mentalmente integra. Una persona che si è emancipata dai vincoli del sangue e della terra, dal padre e dalla madre, dallo stato, dal partito e dalla religione. Un rivoluzionario è un umanista che abbraccia tutta l'umanità e niente di quanto è umano gli è estraneo. Ama e rispetta la vita, è uno scettico e un uomo di fede. 
Semplice, vero?

La medicina e il problema etico dell'uomo moderno
E' un po' complesso da riassumere in poche righe e diciamolo onestamente, non ne ho nemmeno tanta voglia. Ma comunque si tratta di una riflessione sul concetto di etica e sulla necessità di approcciarsi alla professione medica da un punto di vista meno alienato. Nel senso cioè di essere spersonalizzato sopratutto nei confronti del paziente, che non è considerato come un uomo, ma come un oggetto. 
Si ritorna in un certo qual modo al saggio sulla condizione attuale dell'uomo perché anche qui Fromm mette in guardia contro la oggettivazione dell'uomo che purtroppo in medicina avviene per principio. 

Sui limiti e pericoli della psicologia
Non so esattamente quando sia stato scritto questo saggio, ma mi colpisce l'attualità del problema. Oggi la psicologia è stata sdoganata dalla società moderna. Non è più la disciplina di chi studia i "pazzi", ma tutti possono andare da uno psicologo senza vergognarsene (almeno così mi sembra che sia per la stragrande maggioranza delle persone). Eppure Fromm ci mette in guardia. Che uso se ne fa di questa disciplina? Aiuterà veramente a capire e a liberare l'uomo o contribuirà al processo di alienazione di esso da se stesso?

Il concetto di pace nei profeti
La pace dei profeti è pace tra uomo e uomo e tra uomo e natura. Non è la semplice assenza della lotta, come si sarebbe portati a credere, bensì la realizzazione dell'armonia e di un'unione autentiche. Cioè la fine dell'alienazione. 

Quello dell'alienazione è un concetto che ritorna più volte nel pensieri di Fromm. Laddove si intende appunto quella trasformazione dell'uomo in oggetto, in macchina con delle qualità da analizzare, elencare e quindi valutare. Non c'è niente di più anti- umano di questo. Mi chiedo, cosa avrebbe pensato Fromm di Internet e dei Social Network? Possiamo trarre una lezione dai suoi scritti che ci possa indirizzare anche nel tumultuoso mondo del ventunesimo secolo? Ritengo di sì. Non è forse anche oggi sempre più pressante la disumanizzazione dell'essere umano? Forse che internet non ci distoglie eccessivamente dal nostro essere più intimo e quindi più vero? Non stiamo perdendo noi stessi, dietro lo schermo di un pc? 









domenica 7 gennaio 2018

Grimsby - Attenti a quell'altro

Ho visto questo film qualche settimana fa. Non ricordo esattamente quando ma sicuramente prima di Natale e avrei voluto scriverne un post. Non l'ho fatto per pigrizia; ovvio, come sempre... 

Comunque la mia idea è di scrivere i prossimi tre post su un film (questo Grimsby) e due libri. Ho iniziato a leggere "I versi satanici" di Rushdie e sono arrivato a metà prima di interrompermi, non per la paura di una Fatwa (che andassero pure a farsi fott...) ma per la lettura, questa sì di filato, de "Il bisogno di credere" di Erich Fromm. Ho poi iniziato e sto leggendo pure abbastanza speditamente "Congratulazioni hai appena incontrato la I.C.F." di Cass Pennant, che da tanto volevo leggere ma non mi ero mai deciso. Lo so, lo so, sono tre cose che non c'azzeccano nulla l'una con l'altra. Ma sinceramente non me ne frega nulla. Sì, se un argomento mi appassiona (e di solito si tratta sempre di infatuazioni ultra passeggere) tendo ad approfondire con altre letture e film, ma il più delle volte salto di palo in frasca. 

Partiamo dal film.

Innanzitutto non sono un fan di Sacha Baron Cohen anche se devo riconoscere che nel corso della sua carriera ha saputo trovare una sua nicchia, un filone, se volete in cui appare ancora ineguagliabile. 
Dei suoi film avevo già visto "Ali G" e "Il dittatore" e devo ammettere che entrambi non mi avevano né colpito particolarmente ma nemmeno annoiato. 
Ovviamente si tratta di una comicità poco British nel senso che non le manda a dire. No, è proprio diretto. Si tratta proprio di comicità molto molto ma molto demenziale. E in Grimbby spinge molto sull'acceleratore.  Eppure nonostante qui ci vada molto sul scoregge, culi e merda e via dicendo (ma in senso proprio letterale, non metaforico), il film tiene. C'è ritmo, c'è una parvenza di storia che è una rivisitazione del classico plot in cui un uomo che non ricorda il passato riappare nel suo luogo d'origine e deve riambietarsi, e ci sono anche gli attori che si sono prestati. Primo tra tutti Mark Strong che non t'immagineresti mai partecipare a 'sto genere di film e metterci la faccia, e invece. 

E' un film da consigliare? Solo se avete abbastanza stomaco da sopportare certe "trovate" che mettono a dura prova il buon gusto e lo stomaco (ma anche l'intestino e un po' tutto l'apparato digerente quindi non mangiate nulla durante la visione, è meglio) 
Detto questo, non lo consiglierei nel vero senso della parola ma sicuramente passerete 82 minuti senza annoiarvi. Per cui se siete a digiuno, volete vedere per forza un film e non avete niente sotto mano, va bene.