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domenica 26 febbraio 2012

The social network

Ci sono una serie di film sugli smanettoni informatici che ogni buon appasionato di tecnologie et similia dovrebbe vedere. Eccone uno: the social network. E' la storia dell'invenzione di Facebook, il famoso social network che ha ammaliato milioni di persone in tutto mondo.

Si tratta sostanzailmente di un biopic tratto dal libro "the accidental billionaires" di Ben Mezrich costruito esclusivamente come un insieme di flaskback successivi intervallati dal presente rappresentato dal processo che il protagonista deve sostenere contro chi, da ex amico e collaboratore gli ha intentato una causa. Ebbene il prodotto regge: buona la sceneggiatura (anche se un po' contorta nella prima parte in cui si sovrappongono gli eventi), buona la recitazione degli attori che caratterizza le ossessioni e le paranoie della generazione di infomaniaci, ottima la regia che tiene la tensione per tutto il film).

Sarà pure l'incredibile velocità dell'evoluzione degli eventi che l'era informatica ci impone e che quindi rende "storia" fenomeni accaduti solo di recente, ma il fatto è che sembra strano a chi è nato a cavallo tra il passaggio dallì'era analogica a quella digitale che si possa già girare una pellicola (pardon, immagino che si giri in digitale...) su persone e fatti che sembrano accaduti soltanto ieri.

Eppure dobbiamo evidentemente abituarci a questo stato di cose se viene prodotto un film come questo che storicizza un fenomeno che ci sembra ancora in essere.

Ed è questo secondo me il senso dell'opera in questione: il conflitto tra un mondo tradizionale, fatto di università, libri e feste studentesche e poi stages in prestigiose (e polverose) società con lavori stressanti ma ben retribuiti e magari un posto di rispetto nella opulenta società occidentale e il mondo dell'informatizzazione che scardina le norme convenzionali e impone ritmi altrimenti astrusi, senza orari nè confini fisici.

Così il conflitto tra i due protagonisti, su cui si svolge la trama complessiva, cioè tra chi fa le cose secondo i ritmi tradizionali e chi le fa sconvolgendo i canoni spaziali e temporali non è nient'altro che una rappresentazione di due mondi che difficilmente coesisteranno a lungo.


mercoledì 15 febbraio 2012

Infuenza e Sanremo.

E così dopo giorni di vento e pioggia e di sbalzi di temperatura tra dentro e fuori, e di contatti pubblici e con persone e persone che cosa poteva accadere se non una bella influenza?

La schifezza che mi sono beccato ha avuto la seguente sintomatologia:
- febbre alta (oscillante tra 38,5° e 39°C );
- dolori alle articolazioni inferiori;
- lancinante mal di gola che impedisce di deglutire;
- inappetenza;
- due botte di vomito (la seconda delle quali di puro acido che mi ha bruciato la gola);
- dolore generalizzato;
- spossatezza prlungata per più giorni di 3 gg;

Condivido con Labranca il fatto che ogni anno mi sforzo di resistere a Sanremo ma poi ne resto incantato come di fronte ad cobra incantatore.

Ieri la prima puntata, ecco le mie brevi considerazioni:

1. che c'azzeccano Luca e Paolo? Niente, nè l'anno scorso, nè sopratutto quest'anno dove mi sono sembrati inutilmente volgari e stucchevolmente qualunquisti. Cosa dovevano rappresentare, la satira alla società italiana che non paga il canone? Hanno demistificato l'evento (o loro direbbero sputtanato?) in modo greve: non mi sono piaciuti per niente;

2. si fa male la valletta straniera: chissenefrega. E poi dicono che i giovani italiani sono mammoni o che non trovano spazio: allora selezionatene una giovane e italiana per favore.

3. Quanti anni ha Celentano? Ha ancora qualcosa da dire? C'è ancora qualcuno che lo sta a sentire? Propongo di creargli un finto teatro, con pubblico di comparse applaudenti, finte telecamere e finto festival e fargli fare il suo sproloquio lì in modo che il festival possa prosegiure senza interruzioni;

4. Si inceppa il televoto per cui la gara va a farsi benedire. E' stata la cosa che mi ha fatto più girare le scatole. Il duo L.e P. scherza sul pagare il canone rai. Io l'ho pagato e dico che quest'anno costa pure di pù dell'anno scorso e che succede? Gli si rompe il computerino che conteggia i voti dei giurati della platea e non hanno un piano di emergenza. Non l'hanno collaudato prima? Non hanno pensato ad un'alternativa nel caso in cui potesse rompersi tutto? Chi dirigeva i lavori, il fratello di Schettino?
Al Superbowl, in uno stadio (non in un misero teatro dove puoi fare quello che vuoi per giorni per prepararti adeguatamente) al termine del primo tempo hanno montato e smontato un palcoscenico iper tecnologico per far cantare Madonna ed è andato benissimo. A Sanremo gli si rompe il televoto nel loro teatro e non sanno come farlo ripartire. Però il canone è aumentato. E io pago.

Intanto come accade da un po' di tempo le canzoni passano in secondo piano. Ho avuto l'impressione che si cercasse di svecchiare il festival di renderlo meno polveroso, e se così è ammiro il tentativo. Però le cose di cui sopra si dovevano e si potevano evitare.

Preferei un festival con solo cantanti. Senza siparietti, sketch e altre menate che distolgono l'attenzione. Magari più breve (meno giorni), ma più significativo. Così non si rende un buon servizio alla musica e me ne dispiace.

Au revoir. 

mercoledì 8 febbraio 2012

Ultras i ribelli del calcio di Andrea Ferreri

Ecco un libretto nuovo nuovo, capitatomi tra le mani di recente: Ultras. I ribelli del calcio di Andrea Ferreri.

Si tratta di una disamina del fenomeno ultras dalle origini (anni '60) ai giorni nostri (i duemila e passa). 
Ovviamente oltre a narrare brevemente l'evoluzione del fenomeno tracciandone  quindi i più significativi tra i suoi tratti storici, Ferreri si occupa anche di fornirne una chiave interpretativa.

Interessante è il riferimento alla teorizzazione di Hakim Bey Zone  (alias Peter Lamborn Wilson, poeta, saggista e critico anarchico) secondo cui le curve rappresenterebbero delle vere e proprie  t.a.z. cioè delle zone temporaneamente autonome in cui decade il controllo sociale e si realizza uno spazio limitato di libertà rispetto alla società esistente. 

Si potrebbero quindi considerare gli ultras come una sorta di ultimo avanposto di ribellismo giovanile che ha ereditato dal crollo dei movimenti del '68 l'energia propulsiva e l'ha incanalata in un fenomeno che oltrepassa i confini della semplice passione calcistica. 

D'altra parte una partita di calcio è in realtà molto di più di quello che sembra e tutto ciò che entra a far parte del modo in cui si vive la partita di calcio ne ha in qualche modo modificato il senso originario.

Non sono per nulla un sostenitore del mondo ultras. Preferisco andare allo stadio e vedere una partita in santa pace senza il patema di entrare in un luogo in cui devo temere di essere aggredito (e mi dispiace per l'autore del libretto o di quanti sostengano l'etica ultras ma spesso oggi accade proprio così, se no non staremmo qui a discuterne).
Ma è innegabile che dentro il fenomeno ultras coesistano una serie di dinamiche socio - culturali che sarebbe stupido liquidare senza un'attenta disamina almeno da parte di chi si impegna a capire realmente cosa accade e perchè.

Ovviamente come in ogni manuale sugli ultras che si rispetti non può mancare la critica ai mass media, rei di aver sempre utilizzato a piacimento gli ultras, osannandoli quando erano creativi autori di festose coreografie e condannandoli di fornte alle imperturbanze e alle devastazioni).

E' una lettura che consiglio perchè ben argomentata e di alta leggibilità.