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domenica 29 marzo 2020

Guns Akimbo: 2 pistole per Potter

Spero di non essere l'unico a considerare D. Radcliffe un attore con i contro c.

E spero di non essere l'unico a pensare che bisognerebbe coinvolgere Radcliffe in più progetti cinematografici da qui in avanti, perché il ragazzo fa il suo dovere e lo fa bene.

Questo Guns Akimbo (2019), scritto e diretto da Jason L. Howden è un bel action violento e ironico. E' girato come un videogioco, con scene frenetiche ma godibili, ed è abbastanza folle da ardire tanto da presentare pure Radcliffe che piscia in primo piano in una comicissima sequenza in bagno (...ho visto a rallentatore... usano un coso finto... ).

Se devo ipotizzare una fonte di ispirazione sicuramente mi viene in mente il dittico con Statham, Crank 1 e 2. Anche lì l'idea di partenza era abbastanza fuori schema e talmente poco credibile (il cuore collegato ad una batteria che deve essere alimentato a scariche di adrenalina) da richiedere una bella sospensione di giudizio; anche lì, come qui del resto, la sospensione gliela concediamo volentieri.

Akimbo è un termine che non conoscevo. Nei videogiochi sparatutto in prima persona vuol dure "a due mani". In pratica "guns akimbo" vorrebbe dire che il giocatore maneggia due pistole contemporaneamente.

Niente di più azzeccato per il Nostro. Con qualche piccolo dettaglio per rendere le cose più gustose:
1. è un pacifista, vegetariano, programmatore nerd, vessato dal capo (un po' come in Wanted con la Jolie, altro action ironico-violento);
2. è coinvolto suo malgrado in un gioco omicida organizzato da una banda di folli cattivoni in cui due sfidanti devono freddarsi a vicenda (idea non nuovisima, se ci pensate);
3. i cattivoni le pistole gliele hanno letteralmente imbullonate alle mani (da qui il titolo del film)

Da queste premesse prende avvio la storia. Nemmeno tanto originale per carità. Ma si vede con piacere.

C'è da dire che i comprimari non sono il massimo e tutto ruota, e funziona, intorno a Radcliffe che secondo me a fare quello un po' sfigato e fuori posto, dai tempi di Harry Potter in poi, ci sguazza benissimo.
Che avesse doti attoriali lo si era già capito prima in Potter e sopratutto in Imperium, in cui intepretava un agente FBI ansioso di mettersi alla prova, arruolato in una missione semi-suicida di infiltrazione tra i neonazi americani. Qui non fa altro che confermarcelo.

Ok.
Quindi, riassumendo: io lo consiglio. Sopratutto di 'sti tempi di virus in cui a casa ci si fracassa li zebedei.

Allora recuperate pure bibite e pop corn quando andate a fare la spesa con guanti e mascherine e collegatevi allo streaming legale.
Seduti comodi e con sano disprezzo del vostro fegato schiacciate play e mangiate.

Buon divertimento.





sabato 28 marzo 2020

Picard - un nuovo inizio? -- NO SPOILER--


Scrivo solo ora su Picard perchè ieri si è conclusa la prima stagione in italiano e volevo vedere dove andavano a parare prima di esprimere un giudizio. 

Prima domanda: se ne sentiva il bisogno?
Risposta: No, ma tanto l'hanno fata lo stesso.

Mi rendo conto che i produttori di serie tv devono quotidianamente sostenere spese elevatissime per mantenere il loro elevato stile di vita (ville a Hollywood, auto di lusso, vestiti, donne, viaggi esclusivi, sfizi di ogni genere) e a loro va tutta la mia comprensione ed empatia. Quindi capisco che avere tra le mani un franchise come star trek praticamente morto da più di un decennio sia un dramma che nessun operaio, minatore, donna delle pulizie o impiegato pubblico potranno mai capire a fondo. 

Ma si sa la fame aguzza l'ingegno. 


Ecco allora un'operazione che sta a metà tra nostalgia dei bei tempi (...eh quando c'era Picard queste cose non succedevano...magari ci fosse Picard, gliela farebbe vedere lui al virus...) e bisogno di trovare una linfa nuova, aprire nuove strade.

Il tutto inizia con una domanda che prima o poi tutti ci siamo posti nella vita: che fine ha fatto Picard?
Fortunatamente i provvidenziali sceneggiatori "ammaricani" ci tolgono ogni dubbio e fortunatamente ci liberano dalla sofferenza di questa spaventosa domanda: Picard è andato in pensione. 

Così lo troviamo bello bello nel suo buen retiro nella campagna francese, sostenuto e assistito da una coppia di romulani dal passato burrascoso, a badare alle vigne e a crogiolarsi nei ricordi dei tempi che furono. Il problema è questo ricordo non è così piacevole. Un uomo come lui, che a bordo dell'Enterprise, come ogni capitano di quella nave, ne ha viste di cotte e di crude non riesce a stare fermo o a rassegnarsi al fatto di lasciare fare alle nuove generazioni. Quando poi a chiedere il suo aiuto è niente poco di meno che il suo amico Data, allora non può proprio rimandare.

Questo è in soldoni l'inizio. 
Devo dire che la serie decolla da metà in poi. E verso la fine diventa anche abbastanza avvincente. Ma bisogna arrivarci. 

Il cast è buono. E a parte Stewart, ovviamente, ci sono anche altri apprezzati ritorni (che non vi dico per non sciupare la sorpresa). 

La storia è ben congegnata e secondo me si può giustamente ritenerla parte del canone trekkista. Dirò di più: è una buona serie di fantascienza laddove, a partire da un tema classico quale il rapporto tra uomo e macchine, uomo e robot, pone quesiti di natura esistenziale più elevati sull'origine e il senso dell'esistenza.

La messa in scena non si discute. Buoni effetti speciali, ma niente di trascendentale; in linea con star trek che conosciamo.
Un neo per i puristi potrebbe essere il fatto che le navi si pilotino con comandi olografici, un po' troppo avanti se prendiamo per buona la linea temporale di Picard. Ma vabbé, consideriamola una licenza poetica.

I personaggi sono ben tratteggiati. Ci sono sottotrame e storie personali che danno dimensione ai caratteri. Ovviamente in dieci episodi non ci si può spingere troppo a fondo, ma secondo me gli sceneggiatori hanno lavorato bene.

Ci cono i classici elementi di genere. Un nuovo equipaggio in rotta verso l'ignoto. Come andrà a finire? Lo sapremo nelle puntate che verranno. Senza spoilerare (ovviamente), dico solo che il finale lascia presagire una continuazione o meglio, pur concludendo la storia della stagione, getta le basi per nuove avventure. Vedremo quanto saranno avidi i produttori...

Concludendo.
Gli appassionati trekkisti non se la possono perdere, se non altro perché c'è Picard.
Tutti gli altri possono benissimo sopravvivere senza.
Non la metto tra le mie preferite e secondo me non vale Discovery, però la seconda parte della prima stagione, come intensità ci si avvicina un pochino. Quindi la salviamo.

Da vedere?
Boh. Vedete voi.


domenica 22 marzo 2020

Il club dei ragazzi miliardari

Se faccio un esame di coscienza chiedendo conto a me stesso dei miei gusti cinematografici sono due i generi di film che preferisco su tutti, anche sui film di fantascienza che pure amo.

Più che di generi si tratta di argomenti, anche se io li tratterei come generi a sé.

Sono i film sportivi e quelli ambientati nel mondo della finanza. 

Nel primo caso lasciamo stare i comici italici alla Mezzo Destro, Cotechino ed Ezzeziunale (che pure li ho visti tutti e non li rinnegherò mai perché mi hanno sempre divertito: "L'arbitro, il tifoso e il calciatore"con il mitico Pippo Franco e l'immarcescibile Mario Carotenuto, solo per citarne uno), perché mi riferisco a quel genere di film che tratta lo sport come metafora per narrare la formazione psicologica e il riscatto di uomini e donne colpiti da avversità. 

Il messaggio di questi film è sempre quello di non lasciarsi andare, di non mollare, di reagire alle avversità. E che esiste sempre un'altra possibilità di trovare un'altra strada, lecita e onorevole quando tutto il mondo ti dice che non esistono alternative alla sconfitta. 

Ce ne sono tantissimi da citare e se mi arrischiassi a fare un elenco rischierei di tralasciarne qualcuno ("Moneyball" è bellissimo e commovente, "Imbattibile" sulla storia incredibile di V. Papale, "Ultimo minuto" di Avati con un serissimo ed immenso Tognazzi, ecc). 
Il più delle volte sono storie vere o ispirate a fatti reali. Altre volte no. Ma non importa, quello che importa è il messaggio. 

Il secondo genere è quello ambientato nel mondo della finanza, o per estensione della ricchezza. Da Wall Street di Oliver Stone in giù, per intenderci, fino a "1 km da wall street" o al sottovalutato "I soldi degli altri" (del 1991 con DeVito e Gregory Peck), eccetera eccetera. 

Anche qui i titoli si sprecano e anche qui si corre il rischio di non essere esaustivi. Ci sono chicche e ci sono prodotti meno riusciti, ma il messaggio che condividono (la "morale" , come se si trattasse di una favola di Fedro) è sostanzialmente lo stesso: la ricerca sfrenata e immorale della ricchezza non solo non paga, ma si ritorce contro chi la persegue, con crudeltà. 

"Billionaire Boys Club" appartiene ovviamente a questo secondo genere. E' tratto da una storia cronaca nera che forse in Italia non ha avuto molta eco, ed è un film di J. Cox uscito nel 2018 (ma girato due anni prima) con un rispettabilissimo cast di attori, da quella vecchia volpe di Spacey (pre- scandalo) ad un gruppo di promettenti nuove leve quali T. Egerton (che ha già dimostrato di essere bravo in altre occasioni e secondo me è tagliato per i ruoli da cattivo) e A. Elgort, che qui ci sguazza a fare l'attonito bravo ragazzo coinvolto nella spirale maligna del dio denaro (come un degno discendente di Bud Fox, per intenderci). 

Dico che possiamo tranquillamente aggiungerlo alla ridda di film "finanziari"e metterlo di diritto ai primo posti della classifica. 

Ora, sul perché mi piaccia il primo genere, il film sportivo, potrei avanzare qualche facile ipotesi, ma me la tengo per me. 

Sul perché del secondo non saprei, anche se qualche brutto sospetto ce l'ho e mi sento più propenso a parlarne in due parole. 

Se assumiamo per vera l'interpretazione che la finzione artistica sia la rappresentazione di un conflitto e che l'apprezzamento estetico del fruitore sia legato a quanto si riconosca in quel conflitto, dovrei dedurre che forse anche io sono sensibile al fascino perverso della ricchezza facile.  

Tutti i film sulla finanza che ho citato hanno una prima parte, rose e fiori, in cui il profumo dei soldi, del lusso e della ricchezza è così intenso che quasi esce dallo schermo. E secondo me tutti quelli che guardano quei film ne sono irresistibilmente attratti, come di fronte al canto delle Sirene. 

Ma è la seconda parte, quella più interessante. Tutti questi film sono strutturati in una seconda parte in cui si ha la caduta. Il protagonista va in bancarotta o più facilmente è perseguito dalla polizia che implacabilmente fa venire i nodi al pettine. Insomma, è il duro risveglio e ritorno alla realtà: non ti meriti i soldi facili, te li devi sudare e forse pure con tanto sudore, non li avrai mai. 

C'è quindi un che di catartico in questi film. Vederli aiuta ad immunizzarsi contro il virus del desiderio sfrenato di cose materiali.

(virus? immunizzarsi? ... ma da dove mi viene l'ispirazione per queste analogie?)

Il messaggio finale, quello che va trovato scavando ancora più a fondo potrebbe allora essere questo, sotto forma di monito:  non cercare il benessere materiale, perché si tratta di qualcosa di fuggevole e caduco. Che poi uno lo cerchi anche per vie illecite, serve solo a peggiorare le cose. 
La caduta sarà più dolorosa. 

Greed is not so good.


sabato 21 marzo 2020

E mo' so' mazzate...

Dovevo vedere Ultras, l'ultimo film di Garrone, quasi uno straight to video, poiché in sala è passato tre giorni soltanto e poi in streaming su N.

E' un buon film. Ottimi attori, ottima la messa in scena, il montaggio e la regia. C'è a sperare che il cinema italiano continui a sformare prodotti come questo.

Non è un film sugli ultras o sul calcio. I tifosi fanno solo da sfondo, da ambientazione o escamotage per narrare una storia di un uomo alle prese con il desiderio di fuggire dal proprio passato.

Il protagonista è un vecchio capo ultras di un immaginario gruppo di tifosi del Napoli. E' un diffidato ed ormai è stanco della vita e del ruolo che tutti gli riconoscono, perché conosce una donna, se ne innamora e vorrebbe farsi una vita normale; quella vita che non ha potuto vivere fino ad allora. Che cosa gli rimane dopo tutti i cori, le trasferte, gli scontri e le diffide? Niente, si è reso conto di aver buttato la vita e vorrebbe correre ai ripari. Avrà la meglio sulla realtà?

Non so se Garrone si sia ispirato a qualche precedente, ma a me viene in mente un vecchio "The Firm", film inglese per la tv del 1988, con un giovane e promettente G. Oldman, da noi tradotto con il titolo "Ultimo Stadio" e passato in tv pochi anni dopo. Anche lì c'è la sottotrama del rapporto tra il vecchio e il giovane, anche lì gli esiti sono simili.

Intendiamoci, quello nostrano non è perfetto, ma va bene così. Non ci sono intenzioni sociologiche o didascaliche, e anche questo va bene. E' una storia, un racconto sulla vita di un uomo e sul suo tentativo di riscatto.

Da vedere.

giovedì 12 marzo 2020

Non voglio nemmeno nominarlo

L'Italia si è beccata il virus. Eh, già.
Sembra di essere tornati indietro di secoli ai tempi dei Promessi Sposi o del Decamerone. Tutti chiusi  casa anche se all'epoca si fuggiva dalle città per rifugiarsi in quale eremo di provincia con la speranza di salvarsi.

In questi giorni sono in ferie a casa insieme a tutta la famiglia, ovviamente. Lunedì prossimo rientrerò al lavoro, mi armerò di autocertificazione e mi recherò in sede dove scoprirò le novità (telelavoro sì, no, forse, probabilmente no).
Dovrebbe essere un periodo di riposo, di film e di letture. Ma la clausura forzata mi rende nervoso e il nervosismo porta ad un altro problema: si mangiano schifezze a iosa con bona pace di tutti i propositi dietistici.

Poiché non penso di essere l'unico a sperimentare tali sensazioni credo che quando l'emergenza passerà ci si ritroverà tutti fuori per strada. E quando saremo imbottigliati nel traffico o in coda al supermercato, rimpiangeremo tutto questo?

Penso di no.

Au revoir.

mercoledì 4 marzo 2020

Hunters - cacciatori

Hunters. Ok ho finito la prima stagione. Ed è l'unica che è uscita. Per me potrebbe anche chiudersi qui, con i due colpi di scena finali che valgono la visione fino in fondo ma che non trascinerei oltre in un'altra o peggio ancora in altre stagioni.

Ero in dubbio se guardarla o meno perché avevo letto delle critiche negative. 
Bisogna sempre affrontare le cose in prima persona. Vederle in prima persona e non lasciarsi influenzare dal giudizio altrui, che può essere una guida, un orientamento e certo anche un consiglio. Però il giudizio deve essere sempre individuale. 

Per dare un giudizio secondo me bisogna distinguere due aspetti: la serie in sé e l'argomento trattato. Perché le critiche, anche da autorevoli associazioni, sono indirizzate soprattutto al secondo aspetto. 
Lasciamolo un momento da parte e parliamo della serie in sé. 

Di che genere stiamo parlando? Fantapolitica? Giallo? Spionaggio? Avventura? Ho difficoltà a dare una definizione cioè ad incasellare la serie anche perché spesso oggi i generi sono mischiati e se si inizia in un modo, si va a parare in un altro. 

Qui siamo di fronte ad una serie simil-spy che ha forti venature drammatiche, di avventura, di giallo, insomma un po' di tutto. Ma fondamentalmente si tratta di uno scontro tra un gruppo di buoni contro un gruppo di cattivi che si dispiega in una reciproca caccia all'uomo. Solo che se sul gruppo di cattivi non si discute (sono nazisti, originali e neo, e quindi sono dipinti come malvagi, crudeli, violenti e via dicendo senza sfumature), e va bene), è il gruppo dei cosiddetti buoni a presentare quelle particolarità potrebbero interessare di più e che infatti influiscono di più sullo svolgimento della trama. Da qui, mi viene da pensare, il senso del titolo "Hunters", appunto; come a dire che stiamo parlando di loro e non dei loro avversarsi. Ma per carità è solo una mia ipotesi. 

Poi c'è la messa in scena. E qui si ondeggia tra ricostruzione storica degli anni '70 americani, abbondante uso del flashback per parlare della guerra, svolgimento della storia al presente da più punti di vista, e uso di una serie di intermezzi letteralmente farseschi che dovrebbero puntualizzare e spiegare ai più i riferimenti storici e culturali trattati. Sopratutto questi intermezzi, secondo me rendeono la prima parte della stagione poco digeribile. Sinceramente non li ho capiti, non mi sono sembrati divertenti, né funzionali alla storia. Insomma, è chiaro, non mi sono piaciuti. 

Gli attori fanno la loro parte. I nazisti a volte sono caricaturali e ciò non rende un servizio alla serie. Tra i buoni ci sarebbe Pacino, se non che mi sembra un Pacino che recita se stesso. Cioè è molto distante dal Pacino-Jimmi Hoffa di Scorsese. Per carità, ci sta anche, e io sono un suo fan ab illo tempore, ma qui mi sembra un'interpretazione normale, quasi da minimo sindacale. 

Arriviamo alla seconda questione. E qui le cose sono un po' scivolose e vorrei entrarci in punta di piedi. Da quello che ho letto una critica è stata quella di spettacolarizzare la Shoah, rappresentando ad esempio delle situazioni o episodi non accaduti senza che ce ne fosse la necessità. In pratica, se ho capto bene, la critica è: già è stato un evento terribile, che bisogno c'era di inventare episodi non avvenuti? Insomma perché inventare episodi che non sono accaduti (inventare torture, per intenderci) quando già si potevano descrivere quelli che purtroppo sono avvenuti? 

Secondo me la questione è ancora aperta. Ci sono ormai diverse rappresentazioni di nazisti, vedi prosaicamente i cosiddetti nazi-porno del cinema di serie B degli anni che furono, vedi anche, perché no, "I Bastardi senza gloria" di Tarantino, e vedi ad esempio un romanzo che a me è piaciuto molto quale "La variante di Luneburg" di Maurensig. In tutti e tre i casi citati (vabbé, ok, i nazi-porno sono un estremo un po' da ridere), il nazisti sono quasi un pretesto per raccontare una storia di fantasia, magari con altri intenti. Capisco però che la questione possa urtare le sensibilità di molti. Ma a me non sembra che ci sia in questa serie un intento denigratorio né di spettacolarizzazione o comunque di sfruttamento della Shoah. Secondo me sarebbe stato peggio se ci fosse stata un'ambiguità nel caratterizzare o distinguere i buoni dai cattivi. Ma qui si è certi che ciò non avviene. 

Mi sembra che si ricalchi molto, ad esempio, l'atteggiamento di Tarantino. Le vicende narrate sono in qualche modo funzionali alla storia. E' ovvio che così come non si può prendere il film di Tarantino come una rappresentazione storica e un documento di studio e collocarlo al di fuori della dimensione cinematografica, non si può fare lo stesso con questa serie. 

Insomma la storia si deve studiare sui libri e sulle testimonianze, non sui film e le serie tv. Questo è solo cinema, niente di più. 

the end