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martedì 26 dicembre 2017

The lobster o L'aragosta

Lo so che non è molto in linea con lo spirito natalizio ma avrei voluto scrivere questo post almeno due settimane fa quando ho visto il film. Poi per pigrizia e per la solita incuria che riservo a questo blog, tanto deprecata e giustamente da L., ho lasciato perdere.
The lobster è un film derubricato sotto il genere fantascienza anche se a me sembra più un film grottesco e metaforico, laddove la metafora è insita nella premessa e trait d'union del film. In un Inghilterra distopica, ma dei giorni nostri, esiste una legge che impone a tutti di sposarsi, non importa se con persone del proprio o dell'altro sesso, pena l'essere trasformati in animali dopo un periodo di detenzione variabile in una struttura alberghiera pensata per facilitare gli incontri e la nascita delle relazioni. Chi non accetta questo stato di cose è costretto a vivere da reietto nei boschi in comunità di solitari, anche se in qualche modo solidal tra loro, e rischiare di morire ucciso dai cacciatori che sono gli stessi ospiti degli alberghi a cui è richiesto di cacciare per prolungare la propria permanenza nell'albergo e avere quindi più tempo a disposizione per trovare l'anima gemella. 
Bisogna ammettere che l'idea di fondo colpisce così come la messa in scena. The lobster è un film crudo. È cruda la fotografia, pallida ed essenziale, è cruda la storia, e lo sono i personaggi e i dialoghi, con poche sfumature emotive al limite del brutale. È cruda anche la rappresentazione della violenza e del sesso che non ha niente di romantico.
Colin Farell che non è tra i miei attori preferiti perché, saranno pure i personaggi che interpreta ma mi sembra sempe uno che lotta con i denti e le unghie per sopravvivere, è perfetto nel ruolo dello spaesato che trova un modo per uscirne nonostante tutto. Ma tutti gli attori sono nel ruolo e pure la regia, essenziale, fa il suo dovere. 
Nel complesso è un film che non lascia indifferenti ma mi ripeto, crudo. Il che provoca una sensazione di malessere che permane per tutta la visione del film e anche oltre.

venerdì 8 dicembre 2017

Campioni di guai


I fan italiani di fantascienza conoscono sicuramente Scott Bakula per i telefilm "In viaggio nel tempo - Quantum Leap" e "Star Trek Enterprise". Ma Bakula ha recitato anche sul grande schermo e in ben altre produzioni forse anche poco conosciute. 

Eccone un esempio: "Campioni di guai" il cui titolo originale è "Necessary Roughness" che mi pare suoni un po' come "rudezza necessaria" o qualcosa del genere. E' un film del '91 e scommetto che pochi se ne ricordano. Da parte mia l'avevo visto da ragazzo e finalmente pochi giorni fa ho avuto la possibilità di rivederlo.

Sono convinto che i film "sportivi" siano suddivisibili in tre sottocategorie distinte e distinguibili:
- i Biografici o Biopic, cioè quelli che raccontano di qualche personaggio / storia reale. Si tratta generalmente di drammi in cui il protagonista di solito trova nello sport il riscatto per una situazione di partenza svantaggiata, la povertà, una malattia, o qualsiasi altra sfiga (ad esempio: Imbattibile basato sulla storia di Vince Papale);
- i drammatici ma non reali. Sono come i precedenti con l'unica differenza che la storia non è vera, ma a volte ispirata a fatti reali. C'è sempre un protagonista che affronta delle avversità e solitamente nello sport realizza la propria esistenza, a fronte di sfighe, sventure, incidenti e quant'altro (esempio: ogni maledetta domenica di Oliver Stone);
- infine le commedie/comici. Sono spesso film demenziali, con personaggi fortemente caratterizzati e spesso macchiettistici. Abbiamo di solito un protagonista, il vincente, attorniato da una serie di personaggi improbabili. Solitamente le storie presentano elementi irreali come, animali che sono giocatori attivi di squadre di calcio, bambini così bravi che giocano in nazionale (giuro: vedasi Fimpen il goleador), donne che entrano nelle squadre maschili e così via. Spesso la caratteristica di questi film è mantenere il livello comico per tutto il tempo e poi chiudere riscattando il senso con il messaggio finale  che è spesso un non mollare, non cedere ai compromessi, e così via (e qui di esempi ce ne sono anche in Italia, con L'allenatore nel pallone e Mezzo destro mezzo sinistro).

Ecco, Campioni di Guai rientra nel terzo gruppo di film. Si tratta infatti della classica commedia sportiva americana, ambientata in questo caso nel mondo del football universitario.

La storia è molto semplice, e senza spoilerare nulla (perché non c'è proprio niente da spoilerare) è all'incirca questa: in un college del Texas, in cui il football è lo sport per eccellenza tra tutte le discipline, la locale squadra viene azzerata da uno scandalo di corruzione e violazione delle rigide regole sul divieto di elargire compensi agli studenti - giocatori. A questo punto, per portare avanti il "programma" di football dell'università, tanto caro ai finanziatori, viene ingaggiato un vecchio allenatore fiero e integerrimo che avrà il compito di formare le poco ortodosse nuove leve). A fare da ciliegina sulla torta il vecchio Bakula, che vecchio in tutti i sensi (intepreta un uomo dalla veneranda età di 34 anni...) viene richiamato sul campo di football, abbandonato anzitempo per problemi familiari, dove potrà riscattare il tempo perduto. Il resto della storia sono tutti riempitivi. Il senso è tutto qui. 

Ma a differenza di altri film del genere (uno su tutti "Le riserve" di Howard Deutch) il film non funziona a dovere perché quello che manca è proprio il messaggio finale; la catarsi che deve trasformare il film da giochetto a testimone di un messaggio un po' più serio. Qual è infatti il senso del ritorno di Bakula sul campo di football? Non si capisce, o meglio dovrebbe essere proprio quello del tempo perduto e della seconda possibilità concessa ad un uomo sconfitto dagli eventi della vita (che è lo stesso tema di "Le riserve" ma anche del bellissimo "Tempi Migliori" del 1986 con Kurt Russell e Robin Williams). Qui non succede, perché questo tema, che è sì presente nel film, non viene abbastanza sviscerato nella trama, insomma passa in secondo piano. Alla fin fine quindi il film si riduce ad essere una commediola senza pretese che avrebbe potuto anche significare qualcosa in più, ed è un peccato, perché sarebbe bastato davvero poco.