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martedì 5 novembre 2013

Gravity

Non vado più al cinema così spesso.
Gli Impegni familiari, gli impegni lavorativi, il desiderio di contenere i costi proibitivi della vita adulta mi impongono di vedere i film quasi esclusivamente in dvd. 
Non che sia contrario al dvd, intendiamoci. Adoro spaparanzarmi sul divano, premere play sul telecomando e abbandonarmi ad abbuffate di patatine e gelato.
Ma ogni tanto ci scappa l'ora d'aria (anzi le due ore e mezza se si è fortunati) e mi posso godere questo piacere oramai quasi dimenticato. Così se posso mi abbuffo di pop corn con due unici inconvenienti: il costo scandaloso che le multisala ti sparano sui pop corn e il fatto che al termine della proiezione mi debba scrollare i vestiti come si fa con una tovaglia dopo un pranzo di festa. Ce ne sarebbe un terzo: l'olezzo soffocante di pop corn rancido che ti assale una volta aperta la porta della sala, ma dopo poco ti ci abitui come in ogni ambiente chiuso che si rispetti e non ci fai più caso. 

Così questa volta ho visto Gravity di Alfonso Cuaron. 
Credo che sia necessario aggiungere che l'ho visto in 2D, dato che oramai molti film vengono proposti nelle due versioni, 2 e 3D. 

Comunque pur avendo sentito che questo film dava il meglio nella versione tridimensionale (il che è vero per alcune scene) ma si può tranquillamente vedere in visione bidimensionale e non ci si perde nulla. 



Non sapevo che Cuaron fosse il regista di Harry Potter e il prigioniero di Azkaban che è quello della serie che mi è piaciuto di più e de "I figli degli uomini", grande film anche quest'altro. Grande idea soprattutto che cerca di rispondere alla terribile domanda: che cosa succederebbe se non nascessero più bambini?

Gravity mi è piaciuto perché è teso e altrettanto melanconico come una buon film di fantascienza dovrebbe essere. Ma non credo che sia solamente questo. Anzi devo dire che in fondo questo film possa essere letto in un'altra chiave di lettura che non quella dell'astronauta che combatte con l'immensità soverchiante dello spazio. 
Sempre fedele alla regola aurea di non rivelare nulla (Anti - Spoiler ora e per sempre!) metto in guardia chi non l'avesse ancora visto dal non procedere oltre. 

ATTENZIONE SPOILER! (anticipazione)

Ho l'impressione che Gravity sia in realtà una metafora dell'elaborazione del lutto. La protagonista è sospesa nello spazio e sicuramente quello non è il suo ambiente. E' un ingegnere biomedico che per la prima volta è stata mandata nello spazio e sa come muoversi solo perché ha passato un periodo di addestramento ma si capisce che non vorrebbe essere lì veramente e forse non sa nemmeno perché ha accettato di andarci. Lavora, fa il suo dovere, è un membro efficiente della squadra guidata dal comandante che invece nello spazio è a suo agio e vuole evidentemente rimanerci il più a lungo possibile perché dovrà andare in pensione e dovrà abbandonare definitivamente quella vita.
L'elemento sospensione nel vuoto è significativo di una situazione di limbo nel quale vive suo malgrado chi ha subito un lutto. Qualche sequenza dopo capiamo una cosa importante: la protagonista ha veramente perso qualcuno, la propria figlia di quattro anni. 
Poi ecco che succede l'irreparabile. La situazione degenera e qualcosa di veramente incontrollabile, quale una bella pioggia di detriti di un'altra stazione spaziale sopraggiunge inesorabilmente a sconquassare tutto. 
Questa situazione è metaforicamente quella della crisi. La protagonista sta per essere sopraffatta ma sopravvive grazie all'aiuto del comandante che la tiene legata a sé e perciò alla vita. 
A un certo punto succede ciò che deve succedere: si è soli di fronte al dolore. 
A questo punto si hanno più reazioni: 
- la regressione è una di queste: è simbolica la scena in cui la protagonista si toglie la tuta e fluttua nel vuoto rannicchiandosi come una bambina nel grembo materno; 
- la rinuncia: è la reazione più pericolosa per la propria esistenza, ovviamente. Ma anche la più naturale. Il dolore è troppo forte per essere superato e ci si lascia andare allo sconforto e alla disperazione che può essere fatale.
- la ripresa: la protagonista si fa forza, capisce che deve andare avanti e reagisce facendosi forza. 

Nell'ultima parte del film la protagonista riesce a reagire alla difficoltà e ritorna a casa. 
E' emblematica anche la sequenza finale in cui cadendo in mare, la protagonista deve affrontare l'ultimo passo e come una vera e propria rinascita metaforizzata dalla navicella - utero e dall'acqua, riesce a vedere la luce del sole. Alla fine tocca terra. Ha trovato una nuova stabilità. 

The End


giovedì 31 ottobre 2013

ODIO HALLOWEEN!

Non sopporto Halloween.
Voglio dire, la festa in sè mi è totalmente indifferente, le sue tradizioni originarie eccetera.
E' il modo in cui la si deve festeggiare in Italia che è insopportabile.
Ma che c'azzecchiamo con Halloween?


E' una festa commerciale e basta e questo è abbastanza chiaro, perché da noi non si vive in alcun modo il senso originario della festa come nei paesi anglosassoni. Ci si traveste da personaggi horror (vampiri, zombie et similia) e si preparano le zucche perché così si fa e lo fanno tutti.
Quello che però più mi ripulsa è il perché  si debba festeggiare anche qui.
E' del tutto evidente che la generazione dei nati nella seconda metà degli anni '70 non ha mai festeggiato Halloween nella propria infanzia. Ma quella generazione è stata bombardata di continuo dai film e dai telefilm americani, che la tv commerciale (e non) ha rifilato per anni, fino ad assumere gli elementi culturali che quei telefilm proponevano.
Così ora che quei bambini della fine degli anni '70 sono cresciuti, sanno tutti cosa vuol dire "dolcetto o scherzetto?" e che cos'è una zucca intagliata a forma di ghigno e sono anche disposti a festeggiare e a tramandare ai più giovani (che si presentano alla porta di casa la sera a rompere i coglioni mendicando dolciumi).
Che poi travestirsi è una nobile usanza se fatta con tutti i crismi, come nel Carnevale, una tradizione molto più apprezzabile per il suo significato originario di sovvertimento dell'ordine costituito e follia generale. Invece in questa pseudo festa in cui ci si maschera da streghe e vampiri c'è solo un senso dell'orrido che è pure innocuo tanto è stinto e vago.

Non voglio festeggiare Halloween e cercherò di tenere fede a questo proposito il più possibile e sopratutto non trasmetterò nessuna tradizione Halloween alle prossime generazioni.

martedì 29 ottobre 2013

Si riparte!

Ok, ok, la pausa si protratta un po' di più di quanto preventivassi...



è che avevo paura delle intercettazioni americane...ah ah ah. Che pirlotti siamo tutti a pensare che gli americani si facciano scrupoli a monitorare il mondo intero. A loro non frega proprio niente del resto del globo, hanno un unico interesse: gli affari di casa propria.

E se volete saperla tutta non gli do nemmeno torto. Casomai devono essere le altre nazioni a farsi più furbe e a non lasciarsi infinocchiare così.
L'Italia poi dovrebbe avere un po' più a cuore i propri interessi economici e politici...ma vabbè, lasciamo perdere che poi mi incaz..ehm.

Dunque facciamo un riassunto di quanto è successo a proposito di letture, film e quant'altro:

vacanze: aspetto sempre con trepidazione questo importante periodo dell'anno in cui finalmente posso liberarmi dal'inutile peso del lavoro quotidiano e dedicarmi a cose più serie tipo: fare il bagno a mare, ciondolare inutilmente sulla spiaggia, mangiare gelati a iosa e senza alcun ritegno, dormire eccetera eccetera. Ma sopratutto è il periodo ideale per leggere a più non posso.

Il problema è che le maledette compagnie low cost costringono noi poveri vacanzieri fancazzisti a combattere le inesorabili leggi della fisica e della geometria (euclidea e non) per inserire negli spazi sempre più minuti dei nostri bagagli tutto il necessaire.
Così ho dovuto abbandonare l'idea semi sucida di portarmi IT di Stephen King in ferie e lasciarmi mio malgrado sedurre dalle sirene del libro digitale ( o come fa più figo: ebook) e ho portato con me il lettore digitale (lettore ebook non lo scrivo in questo blog Tiè! il blog è mio e lo gestisco come voglio io! tremate, tremate le streghe sono tornate! No, scusate, questo non centra...)

Quindi che ho letto?
Ho iniziato il Decameron di Giovanni Boccaccio.
Lo so, lo so che sembra strano, ma ho pensato: perchè no? Sono tutte novelle di breve lunghezza, divertenti e a volte anche pruriginose (che non fa mai male...). 
Quando sono arrivato alla quinta giornata, e me lo stavo gustando, credetemi, la mia consorte è stata contagiata dall'interesse per l'ebook e me l'ha praticamente requisito per tutto il resto della vacanza. 
Ergo ho dovuto ripiegare sul consueto saccheggio della libreria del mio ospite che in questo caso erano i miei suoceri. 
Così ho letto: 
-Rose Madder di Sthephen King
- Carmilla di J. Sheridan Le Fanu

A conferma che le biblioteche altrui possono essere interessante terra di saccheggio.

Passiamo ai Film.
Ovviamente in ferie non se ne vedono, tv, dvd, cinema sono tabù. Per cui ho dovuto rimpinzarmi al ritorno a casa.
Ho visto due film di Jackie Chan:
1. Drunken Master del '78
2. Shinjuku incident


Che sono due film agli antipodi della carriera di Jackie Chan: il primo è l'inizio del suo genere tra il kunf fu movie e lo slapstick- commedia che lo ha caratterizzato per tanti anni, il secondo lo vede in un ruolo drammatico, con punte di critica sociale (il tema dell'immigrazione e bla bla). 
Si possono vedere entrambi, ma sarò superficiale, mi è piaciuto più il primo. 

Ci sarebbe ancora carne al fuoco, ma per oggi finisco qui. 
Quando si riprende bisogna andarci piano...
Ciao ciao.

lunedì 29 luglio 2013

Autobiografia di Malcom X

Caldo, caldo, caldo...
Ma chi se ne frega? Vabbè io o meglio noi.

Noi che fino a poco tempo fa, qualche settimana o giù di lì NON ci lamentavamo per il freddo e "l'estate che non viene" e similitudini varie.
 A sentire queste lamentele mi sono detto subito "Adesso vi lamentate per il freddo, poi quando ci sarà la calura estiva, che viene in questo periodo proprio perché siamo in estate e non abitiamo in Islanda, vi lamenterete per il caldo.
Eccola là! Si lamentano per il caldo.
Ma andate a quel paese!

In attesa di partire per le ferie...a proposito occhio che il blog napval chiude per ferie da domani fino almeno al 20 agosto, e non dite che non vi ho avvisato.

Dicevo, in attesa di partire per le ferie ho finito di leggere "Autobiografia di Malcom X". 
Era da tempo che mi balzava sotto gli occhi 'sto libello e non ho resistito. 
Diciamo subito che è il testo da cui è stato tratto il film di Spike Lee con Denzel Washington e da cui si discosta un po' in verità almeno per quell'aurea di misticismo che viene data al protagonista.

Il film è pregevole non c'è dubbio, ma il libro è più utile a capire a fondo chi davvero fosse Malcom x e quale fosse il suo pensiero. Oltre questo è anche un documento straordinario perchè ultimato con l'aiuto di Alex Haley (l'autore del celebre "Radici") poco prima del suo assassinio. 


A differenza del film nel libro è più chiara l'evoluzione spirituale del personaggio e l'evoluzione del suo pensiero, sopratutto nella parte finale della sua vita anche in seguito alla piena conversione all'Islam e all'allontanamento prima subito poi perseguito dalla "Nazione dell'Islam".

Che leggerò durante le ferie? 
Sono indeciso tra "It" di Stephen King e un po' di e-book da portarmi in valigia...

Ai posteri l'ardua sentenza. 

Buone vacanze! 




mercoledì 17 luglio 2013

I 55 giorni che NON hanno cambiato l'Italia

Quali sono le sensazioni che si provano leggendo il libro di Imposimato "I 55 giorni che hanno cambiato l'Italia"? 

Incredulità, sdegno, rabbia, disgusto ? 
Forse tutte queste e forse tutte insieme. Ma alla fine anche un senso di profonda amarezza.
L'amarezza di chi crede che la alla fine la giustizia trionfi sempre e scopre invece che nella dura e triste realtà i "cattivi" ce la possono fare e anzi che ce la facciano è la norma e non l'eccezione. 
Chi  è stato responsabile del delitto Moro (si è trattato di un delitto non c'è alcun dubbio), chi è stato il vero responsabile, chi cioè non ha fatto ciò che avrebbe potuto e dovuto semplicemente perché era il proprio dovere istituzionale farlo, ce la fatta a passare indenne a tutte le indagini e si è rimesso al giudizio della storia senza pudore. Con la stessa protervia mascherata da senso dello Stato, barando due volte, prima ai cittadini della Repubblica, i veri padroni di quello stesso Stato che a parole avrebbero dovuto servire ma che hanno tradito, e poi alla Giustizia, intesa nella sua accezione più ampia, questi signori hanno consumato da veri responsabili il delitto Moro.
E l'amarezza che ti prende nel constatare che l'hanno scampata perché sono morti e nessuno gli potrà chiedere conto più di niente, o perché se ne stanno nascosti da qualche parte a godersi la vecchiaia, magari in qualche isoletta tropicale con qualche soldo o a casa loro tranquilli, con la coscienza a posto fiduciosi di aver compiuto il proprio dovere di salvatori della Patria e con la sicumera che nessuno li andrà mai a cercare. 
Ma è l'amarezza che ti prende anche nel pensare alle nuove generazioni e al fatto che una polvere neghittosa si posa sugli eventi del passato e li nasconde o li allontana anestetizzando le coscienze per renderle insensibili.
Non è giusto ricordare è giusto capire il perché è successo quello che è successo.
E' giusto continuare a scavare e a divulgare il più possibile per trasmettere ai posteri la Verità.
In vita chi doveva pagare non lo ha fatto, ebbene coltivi pure l'illusione di avercela fatta a superare indenne il giudizio della Storia, e che sia invece ricordato per i reati che ha commesso e che la sua immagine sia macchiata per sempre dai propri crimini.   

mercoledì 3 luglio 2013

Into Darkness e il 3d

Ho finalmente avuto il piacere di vedere un film in 3d, esperienza che non avevo mai provato finora. 

E la scelta è caduta sul nuovo Star Trek: Into Darkness. 

Avevo visto il primo film di questo reboot e non mi era dispiaciuto: J.J. Abrams è riuscito a riesumare un franchise che oramai aveva detto tutto, ma proprio tutto, dalle guerre contro gli alieni ai viaggi nel tempo, dalle mille sfaccettature dei rapporti uomo-macchina alle derive ecologico - sociali. 


Contemporaneamente il primo episodio della nuova serie era anche il tentativo di reinventare la serie e cucinarla per i palati meno fini delle nuove generazioni. I Trekkers, i veri appassionati, potranno anche aver storto il naso, ma il film funziona. 

Questa seconda parte, se vogliamo, invece strizza l'occhio ai vecchi fan introducendo un personaggio che potrebbe farsi risentire più avanti (se si proseguirà su questa linea, cioè se mancheranno le idee per nuovi progetti ma non la fame di soldi), un cattivo tutto tondo che sa dare filo da torcere e che i trekkers riconosceranno al volo, ma che si colloca bene nel nuovo filone per non lasciare interdetti i nuovi adepti della serie. D'altra parte sono un po' pessimista sulle motivazioni che portano i produttori a finanziare reboot su reboot: non è la mancanza di idee, è proprio l'avidità.

Detto questo passiamo al 3d. Non avendo termini di paragone non posso esprimere un giudizio e affidandomi a chi mi ha accompagnato al cinema, che ne aveva visti già qualcuno, posso dire che si tratta di un buon 3d.
Temevo principalmente due cose: 
- la scomodità degli occhialetti da posizionare sopra quelli da vista (senza i quali vedo le immagini un po' sfuocate ovviamente) di cui ho inevitabile necessità; 
- un vago senso di nausea o stordimento dovuto al continuo riaggiustarsi degli occhi su un'immagine in effetti innaturale;

Nessuno di questi due "possibili" problemi si è verificato. Il secondo poi potrebbe anche essere più una mia sega mentale che un fenomeno riconosciuto...

Un dubbio però mi è rimasto: non è che un film del genere, con effetti speciali e un po' fracassone con ogni onesto blockbuster deve essere, me lo sono un po' rovinato con il 3d? Questo perché mi sembra che certi aspetti visivi fossero un po' in secondo piano. E comunque il primo film mi era piaciuto molto anche per la scenografia colorata e futuristica.
Questo stesso piacere non l'ho avuto con questo secondo episodio, ma temo non per il film in sè quanto proprio per il tipo di visione che tende a mettere in evidenza alcuni oggetti dello schermo in particolare obbligando lo spettatore a rinunciare visivamente agli altri. E così sono uscito dalla sala con l'amara sensazione di aver visto un bel film, certamente, ma di essermi comunque perso qualcosa.

Che fare per risolvere il dubbio? Ai posteri l'ardua sentenza... cioè quando avrò tra le mani il dvd e me lo vedrò seduto comodamente in salotto nel canonico televisore 2d di casa. 

Saluti. 

mercoledì 5 giugno 2013

Django Unchained e Inglorius Basterds: il passato secondo Quentin Tarantino

Quentin Tarantino non è un regista, bontà sua, che lascia indifferenti. 
O lo si apprezza o lo disprezza. I motivi di chi ne disprezza i film sono solitamente tre: 

- troppa violenza; 
- troppa verbosità nei dialoghi; 
- trame difficili (troppi flashback) e quindi pesanti; 

Quali sono invece i motivi di chi apprezza i suoi film: gli stessi tre! 

Quello che i pochi detrattori di Tarantino non capiscono è che il suo non è un cinema impegnato, dei grandi temi che illuminano l'essere umano e contribuiscono a quella ricerca sul senso ultimo dell'umana sofferenza e tutte le solite minchiate e bla bla bla.

Tarantino è essenzialmente un intrattenitore. Ma uno che lo fa con gusto e con consapevolezza e sopratutto con la passione dell'accanito cinefilo. Ma ovviamente anche con creatività. E così riesuma il cinema di serie b (italiano, europeo, orientale) rendendogli omaggio in ogni sua pellicola ma nel contempo ne reinventa gli schemi e riutilizza quelle scene e quelle emozioni per creare qualcos'altro: una storia nuova.
Che cos'è Django Unchained se non un'operazione di questo tipo, peraltro riuscitissima? 
Si tratta semplicemente di riprendere dal pozzo senza fondo del dimenticatoio nel quale sono stati ingiustamente ammassati gli stilemi dello spaghetti western, e di riutilizzarli non per creare un altro spaghetti western ma per fare qualcosa di nuovo. Un nuovo film, una nuova storia, un nuovo puzzle e se manca la colla che serve a tenere insieme tutti i tasselli eccola lì: violenza cruda ma passata sotto la lente distorcente dell'ironia (una su tutte lui stesso che esplode con il candelotto di dinamite verso la fine); dialoghi circostanziati, flashback sul passato dei personaggi. 

Che poi Django Unchained sia uno dei pochi film americani recenti a parlare di schiavitù non può che suscitare enorme rispetto per un autore che lancia così la sua sfida irriverente ad Hollywood: voi fate film fracassoni con supereroi fighetti per far vedere a tutto il mondo che siamo i più fighi e forti e bla bla bla, e io  faccio vedere a tutti che veniamo dalla merda. 

Ma è anche un fatto che a QT di fare analisi storiche non interessa un granché. Non so quanta ricerca storiografica ci sia dietro i suoi film storici (Django Unchained e Inglorious Basterds), fatto sta che a me non sembra proprio che il suo interesse principale sia discutere di storia et similia. Quello che interessa è divertirsi e divertire e se proprio si vuole mandare un messaggio che sia un sottotesto.


Prendiamo Bastardi Senza Gloria.

[attenzione spoiler in arrivo per tutti quelli che non l'hanno visto! cessate di leggere se non volete rivelazioni sulla trama e andate a vedervi il film. Io ve l'ho detto non dite che non vi ho avvisato!]


E' un film sulla guerra? Nein! Come, non è un film sull'occupazione nazista della Francia? Macchè. Ma vi pare che Hitler è morto in Francia in un cinema?
Proviamo ad addentrarci un po' di più nella trama, andiamo un pelo sotto la superficie e vediamo che cosa potrebbe invece essere e forse realmente è. 
Il film contiene sostanzialmente due storie: la prima è quella di Shosanna. All'inizio del film vediamo che riesce a scappare da un rastrellamento del terribile cacciatore di ebrei Hans Landa. Successivamente la troviamo con un'altra identità a Parigi a gestire un cinematografo. Shosanna ha perso tutti i suoi cari a causa di Landa e dei Nazisti e si trova ora a poter ordire una vendetta tremenda: i nazisti bruceranno nell'incendio che appiccherà nel suo cinema. 
Melanie-Laurent-as-Shosan-002.jpgShosanna è una vendicatrice, è sostanzialmente la Beatrix Kiddo di Kill Bill con un altro volto e in un altro tempo. Ma se per ipotesi potessimo prendere i due personaggi e scambiarli e osservare le loro azioni e reazioni scopriremmo che si comporterebbero esattamente allo stesso modo. 
Già questo è un punto importante. 


Ma c'è dell'altro: chi sono i nazisti? Che cosa rappresentano se non il male assoluto o meglio il male per antonomasia. Nel cinema i nazisti non sono quasi mai i buoni o i protagonisti. Nel linguaggio del cinema americano nazista=cattivo, è un'equazione dalla quale non si sfugge. E quindi Quentin ci gioca con questa equazione. Se il nazista è il cattivo, è il male allora io lo uccido e lo faccio ardere in un cinema perché l'antitesi del cattivo è il buono e il mio buono è proprio il cinema. Ecco perché i nazisti muoiono nel cinema, perché il messaggio che si vuole mandare è: il cinema sconfigge i nazisti, cioè in soldoni il cinema sconfigge il male.  

Ma prendiamo ora l'altra storia del film e gustiamocela meglio. 
Nell'altra storia ci sono un gruppo di soldati ebrei guidati dal Tenente Aldo Raine, i bastardi appunto, che paracadutati oltre le linee nemiche, in pieno territorio nemico, scorrazzano allegramente infischiandosene delle regole dell'umana pietas e della convenzione di Ginevra e si preoccupano solo di cacciare, nel senso di andare a caccia, quanti più nazisti possibile. Ma sopratutto di lasciare un segno indelebile sulle loro teutoniche fronti. 
Ora la domanda è: chi sono questi bastardi senza gloria? Chi è quell'Aldo Raine che li guida? 

Qui chiamo in causa "Quentin Tarantino: l'uomo e i film" di Jami Bernard. In questa agile ma precisa biografia si parla della tanto decantata a posteriori esperienza del regista al negozio Video Archives di Manhattan Beach. Evinciamo dal resoconto di Jami Bernard che a quel tempo Tarantino condivideva con altri commessi del negozio la sua passione per il cinema di serie b e il cinema orientale e un po' tutti erano fanatici di quei cult movies che si prodigavano di visionare insieme nei momenti di libertà. In pratica era un gruppo affiatato di futuri cineasti e scrittori di cinema. 
Tarantino Talks ‘Inglorious Bastards’

Ciucciatevi chi c'era e chi ci andava all'epoca (video archives).

Erano quindi un gruppo di autori fuori dagli schemi, innamorati di cinema e pronti a gettarsi oltre le linee nemiche per scombussolare il cinema mainstream. Vi dice qualcosa? 

Chi sono i bastardi? Chi è Aldo Raine? Sono Tarantino e i suoi che si lanciano oltre le linee nemiche per scorrazzare liberamente e scombussolare il cinema paludato degli Studios. 
Ok? Ma sopratutto vogliono lasciare il segno, il loro segno e infatti lo fanno sulle teste dei malcapitati soldati che gli si oppongono. I cattivi. 

Allora chi sono i cattivi? i nazisti? In parte sì, ma i veri cattivi, se estendiamo la metafora del film sono gli Studios, Hollywood e company che distruggono la purezza del cinema e che loro, da bastardi senza  alcuna gloria combattono da infiltrati e dall'interno. 
E nessuno si accorge della metafora, del sottotesto del film perché sono tutti a guardare Hitler e i nazisti che muoiono nel cinema e a dire: "eh, ma come? mica è morto in Francia". 

Così Tarantino ce la fa sotto il naso e si diverte pure a dircelo in macchina con la battuta finale: 

"sai che dico Utivich, questo potrebbe essere il mio capolavoro"


domenica 17 marzo 2013

Sì a Master Chief, no a Masterchef.

A causa della deplorevole insipienza ho cancellato il salvataggio di Halo: Reach. Avevo completsato a fatica circa i 4 /5 della campagna in modalità eroica. Poco male. Ho appena installato sull'xbox Halo 3 (a cui non ho ancora giocato); mi butterò sul terzo della trilogia...


Dopo alcuni anni trascorsi in questa valle di lacrime arrivo a comprendere la mia stupidità e a comminarle il giusto biasimo.

Quello che non capisco è questo florilegio di programmi tv su cuochi, cucine et similia.

Avanzo un'ipotesi: in tempi di crisi, quando la gente ha di nuovo fame, si ridefiniscono i valori sociali. La religione del consumismo assume nuove forme: il cuoco è il nuovo profeta, la cucina è il tempio in cui officiare la messa e il cibo è il nuovo viatico della salvezza.

Amen e buon appetito.

Eppure ci sono programmi e programmi.
Quelli festosi, in cui si unisce il cazzeggio alla "joie de vivre" dove almeno la cucina assume un'aurea di gioiosità. Seppure depreco enormente che saper cucinare faccia "status symbol".
E quelli infingardamente chiamati "reality", nei quali prevale la sfrenata competizione.
Sono proprio questi che non sopporto. A partire dal principio del reality, che iniquamente propina come vero qualcosa che passa in tv, e che quindi per sua natura è e sarù inevitabilmente sempre fittizio. Quando poi si parla di competizione con annessi e connessi...
Che poi questi cuochi sono dei cerberi.





Arroganti fino al midollo, si credono i depositari di chissà quale segreto iniziatico che gli fa pensare di avere natura divina. Brutali con i discenti-discepoli (gli sfigati concorrenti del gioco) con una malcelata vena di sadismo.

Spesso in queste trasmissioni i poveri partecipanti devono affrontare la dura prova di preparare in velocità qualche pasto su ordinazione entro un tempo prestabilito. Naturalmente  devono sottoporre la loro opera al giudizio insindacabile dei mastini - giudici ed esporsi così all'umiliazione.
Il malcapitato si presenta da solo di fronte ai terribili inquisitori: già solo l'aspetto di quello che presenta è posto sotto attenta osservazione. E qui fioccano i primi strali.
 Spesso viene chiesto: "E questa la tua ...(nome pientanza)? Come a voler rimarcare il fatto che il peccatore debba assumersi la propria responsabilità al cospetto del divino.
Poi il sedicente profeta intinge il suo cucchiaio nella pietanza e senza calare lo sguardo dal discepolo (che capisca il tapino che lui può penetrare con il suo sguardo dentro l'anima del novizio), sottopone alle sacre papille gustative il pasto. E qui siamo alla sentenza finale che corrisponde spesso alla fine delle speranze del povero cristo.

Immaginiamo Napval che deve prepare una mousse di cioccolato.

Mi presento col vassoietto di fronte ai tre giudici.
Scrutano il prodotto e uno commenta:  "Non si presenta bene. Ti sei impegnato a farla?"
"Sì", rispondo io. E intanto il primo ci mette il cucchiaio e mangia.
"E' questa la tua mousse, Napval?" chiede il secondo.
"No", rispondo.
"Ah non è questa la tua mousse?" domanda il terzo. "Non l'hai preparata tu?".
"Sì. Cioè no."
"L'hai fatta tu o no?"
"Sì" rispondo io "l'ho fatta io. E' che non è una mousse".
"Ah, no? E che cos'è, Napval?" chiedono insieme mentre la mangiano.
"Niente, è che mi scappava la cacca e non sapevo dove farla..."

Bon appetit!









sabato 9 marzo 2013

Battlestar Galactica

Quando finisce un bel film provo un misto di sensazioni. Piacere per aver assistito a qualcosa di bello, ma anche una sottile malinconia perchè qualcosa di piacevole si è concluso e quell'esperienza particolare non si ripresenterà più allo stesso modo. 
Sarà che le belle storie generano un meccanismo di identificazione con i personaggi e le vicende, sarà pure che si sviluppa una familiarità con quanto si vede, in qualche modo ci si sente dentro la narrazione e quando tutto finisce ci si sente privati di qualcosa. 
Tutto questo accade dopo un film di un'ora e mezza - due, figuriamoci dopo un'intera serie di decine di episodi. 

Ci si attacca inevitabilmente ai protagonisti, si hanno i propri preferiti, si partecipa emotivamente. E quando tutto finisce permane un senso di vuoto come se qualcosa di se stessi fosse andato via per sempre. 

[Ho pensato all'incipit di questo post per tre giorni di fila: alla fine è uscita fuori una chiavica...non bisogna mai prendersi troppo sul serio ed essere umili e sinceri] 

Dunque...

  Battelstar Galactica!!!


Che cos'è?
  1. E' una serie di 4 stagioni per un totale di 73 episodi più i vari web episodi più i cortometraggi che completano la storia. 
  2. E' anche un media franchise nella definizione di Wikipedia, cioè un marchio che viene sfruttato da più prodotti (serie, film, fumetti, videogiochi, ecc.). 
Ma è anche una bella serie di fantascienza che riprende una vecchia serie degli anni 70-80 e la rinnova ripartendo da zero (oggi si direbbe reboot, solo che al contrario dei recenti reboot questo funziona e produce qualcosa di valido e non una spider-minchiata...ogni riferimento è puramente...)

Dicevo una bella serie di fantascienza. E' vero ma non è solo questo, è piuttosto un racconto epico, corale che si dipana in un mondo lontano anni luce nello spazio profondo (sono contrario agli spoiler e non svelerò nulla), e quindi è un susseguirsi di meditazioni filosofico-religiose, di analisi psicologiche, di dissertazioni teologiche che hanno come cornice una storia fantascientifica. 
In Battlestar Galactica la scienza o meglio la fantascienza non fa da padrona. Diciamo subito che 2 sono gli elementi prettamente fantascientifici e siccome rispettano pienamente i canoni della fantascienza non sono per nulla innovativi:
  1. gli esseri umani hanno creato dei robot chiamati Cyloni che si sono ribellati e hanno scatenato una guerra; 
  2. gli esseri umani viaggiano nello spazio a bordo di astronavi in grado di fare ipersalti cioè di viaggiare alla velocità della luce.
Sebbene queste premesse siano abbastanza trite i bravi Ronald D. Moore e David Eick ci riescono. Anzi la serie funziona proprio perchè non si pretende troppo di fornire argomenti fantascientifici. E funziona proprio perchè ci si appassiona alle interazioni tra i personaggi, ai loro screzi, innamoramenti e scazzi vari. 


Certamente ci sono spunti di riflessione interessanti e domande a cui si cerca di dare una risposta mettendo in scena il racconto: come reagireste se foste tra i 30-40 mila sopravvissuti di un olocausto che ha distrutto l'umanità e foste costretti a vagare nello spazio alla ricerca di una nuova patria?  Che tipo di tensioni si scaturirebbero nella coabitazione forzata tra individui che in fondo si sono odiati e devono reprimere i loro istinti di vendetta nei confronti dei propri oppressori? Come motivare ad andare avanti i sopravvissuti a una tragedia di proporzioni bibliche ed evitare che tutto si dissolva definitivamente? 

E  soprattutto come fai a capire di essere un "essere umano" e non una macchina? 


(Questa musica mi ha ipnotizzato! e' un momento topico della quarta stagione!) 

lunedì 28 gennaio 2013

Jarhead: libro e film

Sono sempre un po' restio a leggere un libro da cui è stato tratto un film dopo aver visto il film stesso.
Può darsi che sia l'eterna e irrisolta diatriba tra "è meglio vedere il film no è meglio leggere il libro", ma sicuramente preferisco leggere prima una storia e dopo eventualmente vederla al cinema.

Il perchè è facile spiegarlo: quando leggo una storia inevitabilmente immagino le situazioni descritte, i personaggi, le loro espressioni i colori dell'ambiente e mi creo un mondo mio in cui una vicenda creata da qualcun'altro prende vita. 

Un romanzo deve forzatamente coinvolgere il lettore, renderlo partecipe dell'atto creativo; un lettore collabora alla creazione dell'opera immaginando dentro di sè i particolari dei luoghi, delle persone e delle situazioni che per quanto bravo e preciso uno scrittore possa essere, non riuscirà mai a definire compiutamente. Si può spiegare tutto con la metafora di un pittore che compone un quadro. Egli dipinge i tratti essenziali, il soggetto e lo sfondo, nè definisce alcune caratteristiche in modo che il dipinto sia comprensibile. Ma ad un certo punto deve fermarsi; deve essere qualcun'altro nella propria intimità a completare il quadro. 

Un film riassume e descrive una narrazione complessa in modo inequivocabile. A meno che non si sia daltonici, tutti percepiamo la stessa sfumatura di cpolore dei capelli del protagonista, quella particolare sfumatura che il romanziere può solo descriverci ma che non siamo sicuri che titti vedremo allo stesso modo nella nostra mente. 

Così mi sono avvicinato a Jarhead di Anthony Swofford (ed. Rizzoli, traduzione dello Studio Editoriale Literia) con lo stesso sospetto che di sempre. 



Ho visto il film più di una volta. E non ho potuto non sovrapporre alle fattezze di Swofford l'immagine di Jake Gyllenhall ma per il resto ho dovuto ricredermi. 
A voltre succede: anche se letto dopo il film, il libro "funziona" e a volte pure meglio. 

 

Il film è piacevole, ben diretto, ben recitato; scorre via tranquillamente, ma forse proprio questro è il suo difetto. Di che parla? Non è un resoconto della prima Guerra nel Golfo, perchè è evidente che quella è solo la cornice della narrazione. Il focus è sui personaggi e il corpo dei Marine, ma non è certamente una descrizione del funzionamento del corpo dei Marine nè una storia sulle vite dei personaggi.
E' sicuramente un tentativo di psicologicizzare l'esperienza del protagonista. Come è infatti il libro, che riesce infatti appieno in questo intento. Il tentativo del film di tradurre il libro in pellicola si infrange contro il prevalere delle sequenze divertenti che colpiscono e rimangono in mente: Swofford costretto a suonare la tromba con la bocca, sempre Swofford che deve ripulire i bagni o che deve ingurgitare acqua seduto su un banchetto sotto il sole cocente del deserto a torso nudo e con il cappello da babbo natale e così via. 

Il film non è nemmeno il nuovo "Full Metal Jacket" come è stato pomposamente pubblicizzato. Non è nemmeno "Platoon" se è per questo. Il primo di Kubrick è autenticamente un film sulla guerra e sull'addestramento disumanizzante dei Marines; il secondo di Oliver Stone (nessuno me lo toglie dalla testa) non è nemmeno un film sulla guerra ma sul rapporto ambivalente tra il protagonista e due figure paterne antitetiche, quella buona e quella cattiva (e Wall Street è una variante sul medesinmo tema).

Il libro è la storia di un Marine americano ma prima di tutto di un uomo che indossa una divisa in attesa di un qualcosa che non succederà mai. E' la descrizione del modo in cui il protagonista affronta le aspettative deluse, la preparazione, l'ansia per l'attesa insopportabile e l'anelito a ricoprire un posto nella storia del suo paese (e dell'Umanità), quando altrimenti non sarebbe e non avrebbe niente. Certo è stato plasmato da una formazione militare che gli ha insegnato a caricare e scaricare il fucile e a sparare, ma anche da qualcosa di più pervasivo e forse più subdolo: una generale cultura della guerra, un'educazione che fa di lui un soldato.

Quindi è un libro sulla psicologia del narratore che ha firmato un contratto con l'esercito e deve partire e non si pente per quello che vede, per gli orrori della guerra, la violenza, il sangue e le atrocità, perchè buon per lui ne vede poche. Ma si pente perchè non le ha viste e si sente un fallito. Perchè ci si aspetta da lui che spari, che uccida e che le sue mani siano insanguinate e che al ritorno magari abbia gli incubi con cadaveri e città distrutte. Ma tutto questo non c'è. E' entrato nell'esercito per avere uno scopo perchè pensava di trovarne uno ed invece è stato forgiato come un guerriero ma non gli è stata data la possibilità di combattere. 

Tornerà a casa sano e salvo certo, ma con lo stesso vuoto da cui ha cercato di fuggire. 

The end

domenica 13 gennaio 2013

Buon 2013!

E' questo il primo post del 2013? Sì? siamo in ritardo di 13 giorni, ma nello spirito napvalico: chissenefrega!

Dunque un po' di aggiornamenti sono comunque necessari:

1. il mondo doveva finire il 21 dicembre ma non è successo niente. A meno che i Maya non abbiano sbagliato di qualche giorno e la fine può capitare da un momento all'altro. Okkio gente! Bisogna stare sul chi vive!

2. Ho finalmente visto il terzo film del Batman di Nolan. Il mio responso è che il secondo è meglio del terzo. Stop.

3. Ho letto un libro interessantissimo: "La Repubblica delle stragi impunite" di Ferdinando Imposimato. E' doveroso leggerlo per chi è interessato alla storia nazionale recente. O meglio alla triste storia nazionale. Imposimato infatti ricostruisce con accuratezza gli eventi anche grazie ai riferimenti alle perizie e ai documenti inediti delle sentenze e delle inchieste svolte. Ma individua anche con precisione i possibili mandanti delle stragi compiute e di cui mai si è riusciti a comprenderne fino in fondo l'origine.

4. Su un altro versante ho iniziato la visione (completa) della Serie tv Battlestar Galactica: sono alla seconda stagione. E' un altro must per gli appassionati di fantascienza. Prende prende, è vivamente consigliata.

5. Ho visto di recente un filmetto davvero carino: "Castaway on the moon" del regista coreano Lee-Hey jun. E' un'assurda storia di comunicazione, scoperta e forse amore tra un quasi suicida che si ritrova su un'isoletta della baia di Seoul e una ragazza hikikomori (fenomeno praticamente sconosciuto in Italia, per fortuna) che dalla sua stanza - rifugio intrattiene con lui una relazione a distanza. Notevole davvero. E' un film comico, ma commovente allo stesso tempo. E' stato presentato da noi nel 2010 al Far East Film Festival di Udine dove ha vinto il premio principale (almeno così c'è scritto qui).
Da vedere.

Au revoir