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domenica 17 marzo 2013

Sì a Master Chief, no a Masterchef.

A causa della deplorevole insipienza ho cancellato il salvataggio di Halo: Reach. Avevo completsato a fatica circa i 4 /5 della campagna in modalità eroica. Poco male. Ho appena installato sull'xbox Halo 3 (a cui non ho ancora giocato); mi butterò sul terzo della trilogia...


Dopo alcuni anni trascorsi in questa valle di lacrime arrivo a comprendere la mia stupidità e a comminarle il giusto biasimo.

Quello che non capisco è questo florilegio di programmi tv su cuochi, cucine et similia.

Avanzo un'ipotesi: in tempi di crisi, quando la gente ha di nuovo fame, si ridefiniscono i valori sociali. La religione del consumismo assume nuove forme: il cuoco è il nuovo profeta, la cucina è il tempio in cui officiare la messa e il cibo è il nuovo viatico della salvezza.

Amen e buon appetito.

Eppure ci sono programmi e programmi.
Quelli festosi, in cui si unisce il cazzeggio alla "joie de vivre" dove almeno la cucina assume un'aurea di gioiosità. Seppure depreco enormente che saper cucinare faccia "status symbol".
E quelli infingardamente chiamati "reality", nei quali prevale la sfrenata competizione.
Sono proprio questi che non sopporto. A partire dal principio del reality, che iniquamente propina come vero qualcosa che passa in tv, e che quindi per sua natura è e sarù inevitabilmente sempre fittizio. Quando poi si parla di competizione con annessi e connessi...
Che poi questi cuochi sono dei cerberi.





Arroganti fino al midollo, si credono i depositari di chissà quale segreto iniziatico che gli fa pensare di avere natura divina. Brutali con i discenti-discepoli (gli sfigati concorrenti del gioco) con una malcelata vena di sadismo.

Spesso in queste trasmissioni i poveri partecipanti devono affrontare la dura prova di preparare in velocità qualche pasto su ordinazione entro un tempo prestabilito. Naturalmente  devono sottoporre la loro opera al giudizio insindacabile dei mastini - giudici ed esporsi così all'umiliazione.
Il malcapitato si presenta da solo di fronte ai terribili inquisitori: già solo l'aspetto di quello che presenta è posto sotto attenta osservazione. E qui fioccano i primi strali.
 Spesso viene chiesto: "E questa la tua ...(nome pientanza)? Come a voler rimarcare il fatto che il peccatore debba assumersi la propria responsabilità al cospetto del divino.
Poi il sedicente profeta intinge il suo cucchiaio nella pietanza e senza calare lo sguardo dal discepolo (che capisca il tapino che lui può penetrare con il suo sguardo dentro l'anima del novizio), sottopone alle sacre papille gustative il pasto. E qui siamo alla sentenza finale che corrisponde spesso alla fine delle speranze del povero cristo.

Immaginiamo Napval che deve prepare una mousse di cioccolato.

Mi presento col vassoietto di fronte ai tre giudici.
Scrutano il prodotto e uno commenta:  "Non si presenta bene. Ti sei impegnato a farla?"
"Sì", rispondo io. E intanto il primo ci mette il cucchiaio e mangia.
"E' questa la tua mousse, Napval?" chiede il secondo.
"No", rispondo.
"Ah non è questa la tua mousse?" domanda il terzo. "Non l'hai preparata tu?".
"Sì. Cioè no."
"L'hai fatta tu o no?"
"Sì" rispondo io "l'ho fatta io. E' che non è una mousse".
"Ah, no? E che cos'è, Napval?" chiedono insieme mentre la mangiano.
"Niente, è che mi scappava la cacca e non sapevo dove farla..."

Bon appetit!









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