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lunedì 3 dicembre 2018

Sicario

È un film crudo, essenziale con i tempi misurati. La messa in scena è precisa, e freddamente calcolata.

Si parla di lotta alla droga in Sicario (Villeneuve, 2015), ma sarebbe meglio dire guerra alla droga, una guerra che secondo i protagonisti, Brolin agente segreto sornione, Del Toro killer spietato la cui umanità a brandelli è viva solo grazie alla stranita e perfetta Blunt, si può combattere solo con armi non convenzionali.

"Niente avvocati a bordo", ci tiene a dire il consulente per la sicurezza (leggasi agente della CIA) Matt Graver in sede di arruolamento della task force interforze che dovrà operare in via non ufficiale oltre confine per "recuperare" un signorotto della droga ritenuto responsabile di gran parte del traffico di droga attraverso il  confine con il Messico. Non è il momento per le sottigliezze legali delle garanzie costituzionali. Il traffico di droga è una cosa sporca e lo deve essere pure la guerra al traffico. E infatti come se non fosse chiaro anche il Messico è rappresentato come una zona di guerra, con i cadaveri appesi ai cavalcavia e i colpi di mortaio che le bande di trafficanti si sparano addosso quando calano le tenebre. "

Vuoi vedere i fuochi di artificio?" Chiede un soldato della Delta force all'agente Kate Macer, come a dire "vieni a vedere dove ti ha portato la tua sete di giustizia. Hai sbagliato posto, ragazza".

È un film che sta a metà tra la spy story e il thrilling. È il viaggio all'inferno e ritorno con ferite profonde di una troppo pura agente Fbi.
Ottimi interpreti, sceneggiatura tesa e senza cali di tensione. Buona regia.

Da vedere.

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