Quando finisco di leggere un romanzo, o un saggio, ho sempre bisogno di un momento di riflessione, come se dovessi digerire e assimilare quanto appena letto.
Mi vergogno di aver impiegato diversi giorni a leggere L'isola di Arturo e di non averlo apprezzato fin da subito. Ci ho messo un po' e verso la metà mi sono imposto di continuare e finire.
Ma alla fine il romanzo colpisce. Sarebbe inutile farne una critica, e io non sarei minimamente capace di aggiungere nulla di nuovo a quanto immagino sia già stato detto dalla critica. Ci sono romanzi che andrebbero letti tutti d'un fiato. E questo è soprattutto un romanzo psicologico, non di azione, in cui la narrazione si sviluppa tutta intorno alla formazione di una personalità che avviene nel passaggio dalla fanciullezza /adolescenza all' età adulta.
Tutto è mediato dagli occhi di Arturo. È lui che narra le vicende e la narrazione è il frutto della sua comprensione della realtà. Così noi lettori veniamo a conoscere una realtà dei fatti e non la realtà. Fino a quando non avviene la maturazione e il disvelamento di quella che è la realtà, o se volete, un'altra realtà, rispetto a quella prima percepita da Arturo. È secondo me sta qui la grandezza e la modernità del romanzo della Morante.
Dopo Arturo è l'isola la protagonista. Da luogo fisico, geografico, diventa luogo mentale e infine simbolo dell'età infantile /adolescenziale che purtroppo non tornerà più.
...Intorno alla nostra nave, la marina era tutta uniforme, sconfinata come un oceano.
L'isola non si vedeva più.
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