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lunedì 14 marzo 2011

2001 Odissea nello Spazio di Arthur C. Clarke

Sebbene sia un appassionato dei film di Stanley Kubrick, ne ho visti molti, mi sono sempre rifiutato di vedere Odissea nello Spazio. Il motivo è semplice: ho sempre avuto l’impressione che fosse un film “lento”. Anche Barry Lyndon è un film “lento”, nel senso che la narrazione procede molto lentamente e Kubrick gira molte sequenze dilatando enormemente il tempo di svolgimento dell’azione. Ma si rimane incollati allo schermo (almeno io rimango incollato), perché si vuole vedere come va a finire l’epopea del protagonista. Ho invece avuto sempre pregiudizi nei confronti di Odissea, perché la sua “lentezza” mi è apparsa sempre eccessiva quasi pedante. Ovviamente non avendolo visto non me la sento di sbilanciarmi e magari, e lo spero, posso essere facilmente smentito dalla visione del film.

Ho trovato sulla mia libreria questo volume di Longanesi, collana SuperPocket, che riunisce tutta la saga dei quattro volumi, per un totale di 739 pagine.

Lo dico subito. Ho letto solo il primo volume. Spulciando su Wikipedia si scopre che Kubrick avesse girato il suo film ispirandosi ad un racconto di Clarke, il quale una volta vista la sceneggiatura del regista ha ripreso in mano la sua idea e ha scritto il libro intitolato “2001 Odissea nello spazio” da cui ha poi sviluppato il seguito. È significativo che nella mia edizione dell’opera campeggino in prima pagina i nomi di entrambi come a voler dire che in realtà l’opera scritta è frutto del lavoro congiunto dello scrittore e del regista.

Leggendo il romanzo appare abbastanza chiaro che Clarke volesse sviluppare una narrazione in più volumi, Infatti tutta la sequenza finale, lunga e poetica prelude a qualcos’altro. Proprio tale parte è quella che secondo me si allontana dai canoni tradizionali della fantascienza e sfocia in una visione prettamente filosofico – metafisica dell’esistenza umana.

Sono solito bazzicare altra fantascieza e i miei autori prediletti sono Philip k. Dick, Isaac Asimov, William Gibson e Kurt Vonnegut e perché no il nostro Evangelisti. Clarke non rappresenta il genere di fantascienza che amo. Eppure devo dire che questa lettura mi ha ispirato delle riflessioni su quanto vasto, immenso e incommesurabile sia il nostro Universo e quanto gretti, modesti e limitati siano i comportamenti umani in confornto ad esso.

Forse la lezione che possiamo trarre è questa: l’universo fa paura; Lo spazio è pericoloso; Ma il genere umano deve progredire e allontanarsi dalla Terra e ricercare il senso del proprio essere al di là delle stelle.

Auguri a tutti…

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