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sabato 12 marzo 2011

Il gioco della mosca - Andrea Camilleri

Non sono un fan di Camilleri. Alcuni anni fa ho letto “La mossa del cavallo” e devo dire che mi era piaciuto, tuttavia non mi sono mai appassionato alle vicende del Commissario Montalbano, né a quelle su carta, né a quelle televisive.

Ho trovato questo libretto nella mia inesauribile ed ecumenica biblioteca e mi hanno attratto due cose: la brevità (90 pagine nell’ovvia edizione Sellerio) e la necessità di leggere qualcosa di fresco dopo la “pesantezza” di Odissea nello spazio.

Questo libretto non contiene né un romanzo né un racconto, piuttosto una serie di micro – racconti, o micro – ricordi sceneggiati e commentati, che sono il frutto di un nostalgico esame della memoria dell’autore.

Camilleri si abbandona ai ricordi della propria infanzia e recupera vicende sopite nella sua memoria ma con un avvertimento per il lettore preso in prestito dal filosofo Franz Brentano: “La memoria aduna fantasmi e più su di essi si sofferma, più li rende immaginarii.

Da ogni micro ricordo contenuto in questa raccolta sembra emergere la possibilità di una storia, cioè ognuno di essi sembra offrire lo spunto per un qualcosa che possa tramutarsi in vicensa reale. Mi è sembrato pertanto possibile leggere tra le righe anche un altro avvertimento: la realtà supera la fantasia. Vogliamo cercare storie assurde o mirabolanti, cerchiamole nella realtà di tutti i giorni.

D’altra parte Camilleri narra di aver conosciuto durante la propria infanzia il grande Pirandello, e che questi fosse addirittura amico di famiglia. Era proprio il grande scrittore insignito del premio Nobel a narrare improbabili accadimenti. Prendete il “Fu Mattia Pascal”. Lo lessi anni fa in una vecchia edizione in cui era presente un’appendice curata dallo stesso autore. Pirandello raccontava da dove aveva preso lo spunto per il suo romanzo e rispondendo alla critica che lo tacciava di poca aderenza alla realtà riportando un articolo di cronaca nera in cui erano descritte pari pari le vicende accadute a Mattia Pascal.

Per inciso non riesco ad immaginare un’accusa più assurda e soprattutto più provinciale da rivolgere ad un romanziere. Non è cronaca è letteratura. Non è che l’intera arte della narrazione si risolva nel verismo; semmai è il verismo che rappresenta una variazione alla normalità letteraria.

Più di un racconto è ispirato a Pirandello, anzi a volte ne rappresenta un vero e proprio omaggio frutto del sincero orgoglio sentito da Camilleri per averlo avuto così “vicino” durante l’infnazia. Non si può fargliene una colpa. Se fosse di casa nella mia famiglia un premio Nobel, andrei a sbandierarlo ai quattro venti.

Il libretto è carino, scorrevole e lo si legge in poco tempo. Non si può accampare la scusa che Camilleri scrive in “siciliano” perché qui non è così. Ogni parola dialettale è opportunamente tradotta e commentata ampiamente perché proprio da ciascuna di esse nasce il mini evento che viene descritto.

Su tutte ho preferito “A buttana di Sciacca” ma ve ne sono altri veramente gustosi.

Lo confermo: è veramente una lettura piacevole.

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