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lunedì 11 luglio 2011

Alla fine di un giorno noioso - Giorgio Pellegrini

È un bene per la narrativa italiana che esista Giorgio Pellegrini, il protagonista dei due romanzi di Massimo Carlotto “Arrivederci Amore Ciao” e “Alla fine di un giorno noioso”.

È un bene perché personaggi così servono a sprovincializzare una narrativa come la nostra, troppo legata a personaggi locali e localistici, con le loro parlate dialettali, con la loro cultura del posto in cui sono nati e in cui moriranno, e con tutte le loro piccole cose di pessimo gusto. È giusto che ogni tanto saltino fuori dei personaggi di ampio respiro che almeno facciano sperare che la nostra narrativa possa essere diffusa e apprezzata anche oltre confine magari inserendosi in un contesto internazionale che la liberi da argomenti di campanile di cui non frega niente a nessuno.

Giorgio Pellegrini è un grande cattivo. Giorgio Pellegrini è cattivo dentro, è cinico con chi gli sta vicino, crudele con le donne che frequenta e che subiscono il suo fascino, è possessivo e paranoico. Ma la sua cattiveria è il risultato di un’evoluzione psicologica compiuta nell’arco di un periodo che lo trasforma da disilluso guerrigliero a rapinatore ricattato, fino a divenire un piccolo ristoratore di provincia, unico ed indiscusso imperatore di quel minuscolo impero che è “La Nena”, il suo ristorante.

Giorgio Pellegrini è rancoroso verso il mondo che lo circonda perchè l’ha costretto ad incattivirsi e a tirare fuori le unghie per sopravvivere. Certamente egli gode della violenza che opera sul prossimo, a cui però si sente costretto dalle circostanze (pia illusione di chi trova giustificazioni non accettabili moralmente), e questo fa di lui un sadico, ma tale tratto del carattere che doveva essere latente negli anni giovanili, di fricchettone borghese di sinistra, è al culmine dell’evoluzione psicologica un elemento fondante della sua personalità.

Il percorso di vita di Pellegrini lo rende incapace di provare alcun sentimento benevolo verso il prossimo. L’unico amore che prova è per la sua creazione, La Nena che ama più di se stesso. Ed infatti ciò che lo guida per tutti e due i romanzi non è amore verso sé, ma unicamente spirito di sopravvivenza. Non poteva sperimentare nessun amore verso il prossimo che non fosse una cosa, un oggetto o in questo caso un luogo fisico.

I due romanzi rappresentano due aspetti diversi della vita di Giorgio. Il primo è la nascita del personaggio, cioè il come e perché è diventato Pellegrini. Il secondo è il suo completamento, cioè dove va a finire Giorgio Pellegrini.

Sono entrambi due romanzi avvincenti. Il primo è un rutilante succedersi di situazioni in cui il protagonista cerca disperatamente di realizzare l’unico anelito che gli è rimasto: la conquista della riabilitazione. Il secondo è la battaglia condotta da Giorgio per la sopravvivenza e la vendetta operata contro chi lo tradisce.

Carlotto scrive bene, e la narrazione procede in modo molto coinvolgente e scorrevole. Il punto di vista è quello del protagonista, anche narratore degli eventi, per cui si leggono i suoi pensieri, i suoi dubbi e i suoi sospetti. Ma Carlotto è bravo nel descrivere una realtà, la provincia del nord-est, semplicemente accennandola attraverso i personaggi che prendono parte agli avvenimenti. Non si dilunga in complesse analisi o nel produrre giudizi di sorta. Semplicemente rappresenta una realtà , terribilmente nera e ci fa sguazzare il suo protagonista lasciandogli campo aperto per vedere come va a finire. Diciamo che sono due romanzi che si leggono in breve tempo, perché si è molto coinvolti nella narrazione. Ovviamente quello che si legge, soprattutto nel caso di “Arrivederci amore ciao”, lascia dentro un senso di malessere perché ci porta a pensare che la realtà descritta, fatta di corruzione, violenza, sopraffazione e cinismo sia esattamente la nostra realtà.

Leggere questi due romanzi di Carlotto è come scoperchiare un vaso pieno di vermi e capire che quello che c’è in quel vaso è l’unica realtà possibile.

Non conosco gli altri scritti di Carlotto per cui non so come siano gli altri personaggi da lui creati, come ad esempio l’Alligatore. L’impressione che ho avuto leggendo questi due romanzi è che Giorgio Pellegrini sia una sorta di maschera cattiva da indossare per dare spazio ad emozioni distruttive profonde.

Perché Pellegrini si rivale su tutto e tutti. Se lo attacchi ti distrugge, se lo ami ti tracina in un buco nero di dissoluzione che ti annienta.

L’unica salvezza possibile è stare alla lontana da Giorgio Pellegrini.

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