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martedì 12 luglio 2011

Tortuga e Veracruz di V. Evangelisti

Qualche anno fa mi imbattei in una raccolta di racconti di Valerio Evangelisti intitolata “Metallo urlante”. Non conoscevo Evangelisti e devo dire che a farmi acquistare il libretto era stata la copertina accattivante, la letura del risvolto di copertina e soprattutto la felice sorpresa di avere tra le mani una raccolta di racconti fantascientifici di uno scrittore italiano. Fu una piacevole scoperta, sia dello scrittore che ha vinto il premio Urania nel 1993, sia del personaggio di Nicholas Eymerich protagonista del romanzo premiato e cardine intorno al quale ruotano i racconti della raccolta Metallo urlante.

Mi sono così appassionato al ciclo di Eyemrich, che consta di diversi romanzi, che sebbene non l’abbia ancora letto tutto, sono certo che arriverò in fondo. È che mi lascio la lettura dei romanzi a periodi in cui ho bisogno di sapere che leggerò un romanzo di qualità; oramai considero i romanzi di Eymerich una certezza da vari punti di vista e una garanzia di ottima scrittura, trama avvincente, riferimenti culturali alti e piacere di lettura. Ho letto i primi quattro del ciclo e il prossimo, forse quest’estate, sarà Picatrix. Ma questa è un’altra storia.

Poiché oramai mi fido di Evangelisti ho provato ad affrontare una coppia di romanzi di trattazione completamente differente che mi hanno piacevolmente impressionato. Tortuga e Veracruz sono infatti due romanzi di avventura, dalla trama complessa e coinvolgente, ambientati nel mondo della filibusta, la pirateria seicentesca del Nuovo Mondo.

I due racconti sono indipendenti tra loro anche se Veracruz, che è di successiva pubblicazione rispetto a Tortuga è una sorta di prequel, per cui chi li legge entrambi, in qualsiasi ordine si voglia coglierà naturalmente più sfumature di chi ne legge solo uno.

Sicuramente il punto di vista di Evangelisti sui pirati dista molto da chi ha ideato Pirati dei Caraibi. Qui i pirati sono veramente cattivi e la ciurma fa veramente paura. La vita dei pirati era davvero dura e non ci sono Jack Sparrow a farci ridere.

Entrambi i romanzi sono stati scritti grazie ad un’accurata ricostruzione storica della quale Evangelisti, almeno nell’edizione Mondadori di Veracruz, espone una bibliografia di testi storici e biografici. E’ quindi evidente l’attento lavoro di ricerca e documentazione che si è tradotto soprattutto in Tortuga nell’utilizzo di svariati termini marinari con il fine, probabilmente, di immergere il più possibile il lettore nella ricostruzione degli ambienti e delle vicende narrate.

L’uso del linguaggio marinaresco ha quindi questa finalità, creare una cornice il più veritiera possibile entro cui narrare le vicende. Il problema sta nel fatto che non tutti sono avvezzi a questo linguaggio. Da qui le tre possibili soluzioni:

1) Soluzione “chi se ne frega”: si procede nella lettura senza interrompere il flusso della narrazione: difficile da realizzare perché dopo un po’ si rischia di perdere il filo del discorso, a meno che non si tiri ad indovinare quali siano gli oggetti descritti;

2) Soluzione ossessivo/compulsiva: ci si munisce di vocabolario e si compulsa le pagine del suddetto ogni volta si trova un termine che non si comprende: è possibile se ci si siede a leggere il libro alla scrivania dello studio, non se lo si legge a letto come da un po’ di tempo a questa parte capita a me;

3) Soluzione napval: si scarica per pochi euri l’applicazione “Dizionario” per il proprio IPOD Touch e si usa quello anche a letto.

Consiglio vivamente la terza.

Ma anche a tutti quanti sceglieranno le altre due:

buona lettura.

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